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martedì 24 maggio 2011

Nuovi modelli contrattuali

Il d.lgs. 276/2003 ha introdotto nuovi modelli contrattuali rispondenti alle esigenze della società.
Le aziende non sono più disposte ad assumere a tempo pieno ed indeterminato.
Per questo il legislatore è intervenuto dando attuazione alle legge Biagi con il d.lgs. 276 del 2003. l'esigenza era di trovare nuovi modelli contrattuali per contrastare il lavoro sommerso e dare un incentivo al mercato del lavoro.
Il lavoro intermittente nasce negli Stati Uniti, e si diffonde in Europa soprattutto in Olanda e Belgio dove si rivolge a lavoratori molto specializzati. In Italia l'applicazione sarà diversa. Il primo recepimento avviene attraverso le parti sociali.
Introdotto nel 2003 dal 276 viene soppresso nel 2007 con la 247 e viene reintrodotto nuovamente nel 2008 con il 131.
questa tipologia è di carattere solo subordinata. Il lavoratore si obbliga ad eseguire la prestazione solo nel caso in cui il datore dovesse avere l'esigenza. C'è una forte discontinuità per il lavoratore.
È possibile usare tale contratto solo per determinate ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, solo in determinati periodi, nel fine settimana e nelle vacanze. Inoltre si può sempre stipulare per i minori di 25 e i maggior idi 45. la caratteristica è la discontinuità e si discosta da altre tipologie simili quali al somministrazione in cui ci si rivolge a un'impresa e non al singolo(3 soggetti).
Si differenzia anche dal lavoro a tempo parziale perché il lavoratore già sa quanto lavorerà quando viene assunto.
Altra caratteristica è che non è previsto un obbligo del lavoratore di rispondere alla chiamata del datore di lavoratore in caso di necessità. L'obbligo può essere aggiunto dai contraenti e il lavoratore può obbligarsi a rispondere in qualsiasi caso alla chiamata. In tale caso al lavoratore spetta l'indennità di disponibilità. La legge non prevede l'importo che è determinato dai contratti collettivi. Il livello minimo è determinato da un decreto del ministero del lavoro.
Solo quando c'è l'indennità di disponibilità non si ha più solo scambio tra retribuzione e lavoro ma si aggiungerà anche disponibilità e indennità.
Il lavoratore nel caso deve avvertire tempestivamente nel caso in cui non possa rispondere alla chiamata qualora abbia pattuito la clausola di disponibilità. In tale periodo l'indennità è sospesa.
Nel caso in cui non avverta, l'indennità è sospesa per 15 giorni dalla legge.
Nel caso in cui il datore chiami e lui non risponda il datore può recedere dal contratto, può farsi restituire l'indennità e può chiedere un risarcimento del danno(cosi chiamato dalla legge)già determinato dal contratto.
I requisiti di tale contratto sono la forma scritta ad probationem. Il contratto deve contenere la causale, il caso previsto dal contratto collettivo o deve riferirsi a uno dei periodi predeterminati o deve contenere l'indicazione dell'età del lavoratore. Deve poi contenere la retribuzione, il luogo di lavoro, la clausola eventuale di disponibilità, le condizioni di sicurezza, e i modi in cui il lavoratore può essere chiamato. Il lavoratore deve essere chiamato al minimo un giorno prima.
Tale contratto non può essere stipulato per sostituire i lavoratori in sciopero. È vietato per i datori di lavoro che hanno effettuato licenziamenti collettivi nei 6 mesi precedenti per le stesse mansioni.
È vietato infine per i datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi.
La valutazione dei rischi è determinata dal 626 del 94 per cui si devono mettere nero su bianco i rischi che corrono i lavoratori e le misure adottate per preservare l'integrità fisica e morale del lavoratore.
Nel caso in cui sia stipulato un lavoro ad intermittenza senza giustificazioni la legge non prevede le sanzioni. Si ripropone lo stesso discorso del contratto a tempo determinato.
La maggioranza della dottrina e giurisprudenza ritengono che in caso di invalidità si ricade nello schema classico della trasformazione ex tunc in un contratto a tempo pieno e indeterminato.
Altra parte della dottrina e giurisprudenza minoritaria ritengono in base all'art.1419c.c. che dall'invalidità della clausola derivi la nullità del contratto, per cui il lavoratore non avrebbe tutele. Ciò nel caso in cui i contraenti non avrebbero stipulato il contratto senza tale clausola.
Tale teoria esclude dunque la trasformazione. Si tratta tuttavia di una teoria minoritaria.
Contratto di lavoro ripartito. Nasce in America per esigenze di flessibilizzazione e viene introdotto anch'esso in Italia dal d.lgs. 276. si applica in Europa contro le crisi aziendali.
Secondo l'art.41 si tratta di uno speciale contratto di lavoro per cui due lavoratori si obbligano in solido per un'unica prestazione lavorativa. I due lavoratori hanno assoluta libertà di spartirsi e dividersi il lavoro che viene gestito in assoluta autonomia. L'eventuale inadempimento di uno dei due lavoratori non libera l'altro lavoratore.
La retribuzione spetta in base alla prestazione effettivamente resa.
La solidarietà si ha solo per i fini dell'adempimento ma non per gli inadempimenti disciplinari.
Questo tipo di contratto può estinguersi per impossibilità sopravvenuta di entrambi i contraenti e per licenziamento e dimissioni di uno dei due lavoratori. Nel caso in cui una delle parti venga meno il contratto viene meno. La parte ancora disposta e il datore possono effettuare una novazione del contratto ma in tale caso si passerebbe a un normale contratto di lavoro a tempo determinato.
I requisiti del contratto sono la forma scritta ad probationem in cui vanno indicate caratteristiche, tempo, modalità, retribuzione e anche la previsione circa la spartizione del lavoro(una divisione di massima che può essere modificata). Il datore va informato settimanalmente circa chi ha effettivamente lavorato.
Vige il principio di non discriminazione per cui a parità di lavoro essi devono avere lo stesso trattamento che hanno i lavoratori a tempo pieno e indeterminato(vale anche per il lavoro a intermittenza).
Il lavoro a tempo parziale è stato introdotto nella metà degli anni 80 con discipline non organiche. La prima disciplina vera e propria si è avuta nel 2000, per poi essere riformata con il 276 del 2003.
si tratta di un contratto molto diffuso e rappresenta il cuore della flessibilità. La legge prevede un orario di lavoro standard pari a 40 ore settimanali. Il contratto sarà part time quando questo prevederà meno di 40 ore.
Viene incontro sia a esigenze personali che ad esigenze di carattere economico. Ci sono tre tipi di part time: un lavoro a tempo parziale orizzontale, per cui il lavoratore usa tutti i giorni previsti normalmente ma per un tempo inferiore alle 40 ore settimanali. Il part time verticale prevede un orario a tempo pieno per solo alcuni giorni a settimana. Terzo schema contrattuale è quello misto in cui si intrecciano le due discipline dell'orizzontale e verticale.
I requisiti sono la forma scritta in cui va indicata la durata della prestazione e la collocazione temporale delle ore. In mancanza di forma scritta il lavoratore può ottenere la declaratoria di sussistenza per avere un contratto a tempo pieno. Se il contratto omette solo la collocazione delle ore non si arriva alla declaratoria di sussistenza del contratto a tempo pieno e quindi il giudice si limiterà a dire quale sarà l'effettivo periodo di lavoro, rivolgendosi alle parti e soprattutto al lavoratore.
È possibile stipulare clausole elastiche e flessibili che modifichino la collocazione e l'orario di lavoro, spostando e allungando gli orari. Ove manchi il consenso del lavoratore non è possibile licenziarlo solo perché si è rifiutato a convenire tali clausole. Si possono effettuare anche prestazioni di straordinario con il consenso del lavoratore.
Egli ha diritto nel caso anche ad una maggiorazione rispetto alla retribuzione.
È possibile convertire il contratto da tempo pieno a tempo parziale. Per fare ciò è necessario il consenso del lavoratore e il legislatore ha previsto che tale consenso sia sicuro e informato. Questo deve essere dato per iscritto e deve essere anche confermato dal lavoratore dinanzi alla direzione provinciale del lavoro.
Il lavoratore ha diritto di mutare dal tempo pieno al parziale nel caso in cui le proprie condizioni di salute lo obblighino in tal senso.
Anche per questo contratto vale il principio di non discriminazione per cui i lavoratori part time devono avere lo stesso trattamento retributivo ed economico (in proporzione) di quanti lavorano a tempo indeterminato.

La tutela del lavoratore a fronte di un licenziamento illegittimo

Il licenziamento deve essere impugnato entro 60 giorni ed entro 270 giorni il lavoratore deve fare ricorso, novità introdotta dal collegato lavoro del novembre 2010.
Il lavoratore propone ricorso, il giudice lo accoglie dichiarando illegittimo il licenziamento e per il lavoratore può scattare la tutela reale o obbligatoria. La tutela reale è detta forte e l'obbligatoria è detta debole.
La tutela obbligatoria è stata introdotta con la l. 604 del 1966, legge che ha introdotto anche la necessità di un licenziamento giustificato, mentre prima c'era solo il recesso ad nutum. Tale norma ha introdotto la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo o oggettivo. L'art.8 dice cosa succede quando un licenziamento non sia giustificato. È necessario reintegrare entro 3 giorni o risarcire il lavoratore.
Questa norma ci dice che a fronte di un licenziamento ingiustificato il datore può riassumere o pagare un'indennità al lavoratore, si tratta di un'obbligazione alternativa per il datore.
La maggior parte dei datori di lavoro opteranno per il pagamento dell'indennità monetizzando la condotta illegittima, per questo la tute obbligatoria è detta tutela debole.
Al contrario nella tutela reale si permette al lavoratore di tornare sul posto di lavoro.
La riassunzione significa instaurare un nuovo rapporto dopo il licenziamento illegittimo.
Invece la reintegrazione non determina un'interruzione del rapporto. È come se il rapporto fosse stato continuativo.
Se il lavoratore rifiuta di essere riassunto egli ha comunque diritto all'indennità già stabilita dal giudice. L'indennità è stabilita all'interno di una forbice dallo stesso art.8. questa va dalle 2,5 alle 6 mensilità. Il giudice determina l'indennità in base alla dimensione dell'impresa, il numero di dipendenti, l'anzianità del lavoratore, le condizioni economiche.
Saranno le parti stesse ad allegare l'anzianità di servizio e le altre caratteristiche determinanti.
Quando il lavoratore ha un'anzianità superiore a 10 anni può avere un'indennità fino a 10 mensilità. Se superiore a 20 fino a 14 mensilità. Solo però se è un'azienda con più di 15 dipendenti.
La tutela reale viene prevista dall'art.18 della l.n.300 del 1970, successiva alla disciplina tutela obbligatoria.
Essa prevede la possibilità a fronte di un licenziamento ingiustificato o nullo, l'obbligo per il datore di lavoro di reintegrare il lavoratore e di risarcire il danno. Non è un'obbligazione alternativa.
La reintegrazione si distingue dalla riassunzione perché prevede che il rapporto non si sia mai interrotto per cui ha valore ex tunc. Il lavoratore non deve offrire dopo la sentenza le prestazioni di lavoro ma deve attendere l'invito del datore di lavoro. Entro 30 giorni il lavoratore deve rientrare in servizio altrimenti si estingue il rapporto. Il lavoratore deve essere reintegrato nello stesso posto di lavoro, fatto salvo lo ius variandi del datore di lavoro.
Il lavoratore nel momento in cui viene reintegrato deve restituire l'eventuale indennità sostitutiva e il TFR che gli è stata data.
Il limite di tale tutela è che la reintegrazione presuppone un fare infungibile non coercibile.
Il datore ha dunque il dovere di esercitare i propri poteri. Non si può costringere il datore a fare, a reintegrare. Tuttavia egli deve pagare il lavoratore a casa come se stesse lavorando.
Nel caso di non ottemperanza dell'ordine del giudice da parte del datore, nel momento in cui viene riformata la sentenza di primo grado si è posto il problema della ripetibilità o meno delle somme percepite dal lavoratore. Queste somme sono effettivamente ripetibili secondo la giurisprudenza.
Per quanto riguarda l'obbligazione di risarcimento del danno, si prevede che questo deve essere commisurato a tutte le obbligazioni di fatto tra il licenziamento e la reintegrazione. Tale risarcimento non può essere inferiore alle 5 mensilità.
Tali 5 mensilità sono una sorta di penale forfettaria, non commisurata al danno. Il lavoratore non deve provare di aver subito il danno, ma deve solo provare la commisurazione del danno.
Proprio perché si tratta di risarcimento del danno si possono detrarre l'aliunde perceptum, ciò che il lavoratore ha guadagnato grazie ad altre attività lavorative intrattenuta medio tempore, nelle more del giudizio. Ciò per il principio della compensatio lucri cum danno.
Il datore può anche ottenere materiale probatorio dall'INPS per detrarre la somma dal danno.
Non si sottrae l'aliunde compatibile, che avrebbe potuto percepire anche restando presso il datore che lo ha illegittimamente licenziato.
Può essere detratto anche l'aliunde percipiendum, non solo le retribuzioni effettivamente percepite, ma anche tutto ciò che il lavoratore avrebbe potuto percepire usando l'ordinaria diligenza. Non si vuole premiare il lavoratore che è rimasto inerte. È necessario però che il datore di lavoro dimostri.
L'aliundem perceptum è comunque un'eccezione che non può essere rilevata d'ufficio.
Particolare risarcimento stabilito sempre dall'art.18,9comma per i sindacalisti licenziati illegittimamente. Essi hanno una tutela più incisiva, e nell'ipotesi di licenziamento il datore che non ottempera all'ordinanza di reintegro del giudice è tenuto al pagamento giornaliero di una somma da destinare al fondo pensioni pari alla retribuzione del lavoratore.
L'art.18,5comma prevede un diritto di opzione per il lavoratore che non vuole tornare al lavoro. Egli può chiedere entro 30 giorni dal deposito della sentenza un'indennità pari a 15 mensilità.
L'indennità è in luogo della reintegrazione ma non si sostituisce al risarcimento, dal giorno dell'illegittimo licenziamento a quello della sentenza(o reintegro).
L'ambito di applicazione delle due tutele è diverso.
L'art18 dello statuto e l'art.8 della 604 sono state modificate con la legge 108 del 1990.
prima di tale legge la tutela reale ai sensi dell.art18 poteva applicarsi solo a imprenditori con più di 15 dipendenti o 5 dipendenti in caso di imprese agricole. Per quanto riguarda la tutela obbligatoria per quelli con più di 35 dipendenti se non applicabile la tutela reale. Rimaneva una grande area per il licenziamento libero per tutte le piccole imprese che rimaneva con i lavoratori che avevano raggiunto l'età di pensionamento.
Dopo la riforma la tutela obbligatoria viene estesa a tutti a meno che non fosse applicabile la tutela reale. Anche le piccole imprese avevano tale tutela.
L'onere della prova non era a carico del datore. Il lavoratore deve provare che gli si renda applicabile la tutela reale. Al datore di lavoro spetta invece di provare la possibilità di fare un licenziamento libero.
La formula del 108 dice che la tutela reale è applicabile a tutti i datori con più di 15 dipendenti nella stessa attività produttiva o nello stesso comune(per evitare un'elusione da parte del datore) o 5 se imprese agricole o più di 60 dipendenti nell'ambito del territorio nazionale.
Per il computo bisogna considerare tutti i lavoratori subordinati e vengono esclusi gli autonomi e parasubordinati. Non verranno cumulati i contrattisti a termine che sostituiscono il lavoratore assente, gli apprendisti. Vengono invece computati i contrattisti con contratto di formazione.
Anche quelli con contratto di somministrazione sono nel computo. Vengono esclusi i lavoratori a domicilio, ma sono inclusi i lavoratori distaccati. I lavoratori a tempo determinato vanno inclusi limitatamente alle ore che prestano all'interno dell'impresa.
La tutela reale nonostante l'impresa raggiunga le dimensioni è esclusa per le organizzazioni di tendenza, organizzazioni che perseguono un fine ideologico. Il legislatore ha alleggerito la responsabilità di tale tipo di datore di lavoro, alla luce del fatto che si tratta un'attività prestata senza fini di lucro.
Qualora il lavoratore svolgesse mansioni neutre è stata esclusa la tutela reale, a prescindere dallo svolgimento di attività connesse al fine ideologico o meno.
La tutela reale si applica però sempre quando si tratta di licenziamento discriminatorio.
C'è un ambito residuo in cui la tutela reale dunque si applica sempre. Si chiama tutela reale di diritto comune, quando il licenziamento non ha nessun effetto ed è dunque nullo.
Quando il datore ha presso di sé anche un numero esiguo di lavoratori, vi sarà sempre e comunque l'applicazione della tutela reale.
Rimane un'area in cui la tutela reale può non applicarsi, in cui il datore può applicare il libero recesso. Tale area comprende i dirigenti (e non gli pseudo dirigenti) perché si tratta di una figura particolare che ha un rapporto di fiducia stretto con l'imprenditore. Anche nel caso del dirigente è stata coniata dalla giurisprudenza la necessità di giustificatezza. Per cui anche se non è necessaria la giusta causa o giustificato motivo il licenziamento deve essere comunque giustificato, si ha comunque non il reintegro ma un'indennità supplementare.
Altri lavoratori che rientrano nell'area della libera recidibilità sono i lavoratori in prova. La legge prevede un periodo minimo di 6 mesi, in cui il datore può licenziare anche senza motivo.
Sono anche esclusi i lavoratori domestici in quanto si tratta di rapporti in cui la fiducia è elemento centrale. Per cui si da possibilità al datore di licenziare.
A parte gli atleti professionisti è bene ricordare i lavoratori che hanno raggiunto l'età pensionabile. Questo perché può favorire il turn over con le nuove generazioni.

Il contratto a progetto

Il lavoro a progetto non è un contratto di lavoro subordinato ma è una fattispecie atipica che si colloca come un tertium genus tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Viene definito come lavoro para subordinato in quanto il lavoratore assunto a progetto viene assunto per una collaborazione e non alle dipendenze.
La definizione del contratto viene data dall'art.61 del dgls276 2003 che modifica il co.co.co. E introduce la necessarietà che nel testo contrattuale sia esplicitato un progetto, un programma o una fase di esso di cui è incaricato il lavoratore. Dispone dunque che non si possono stipulare contratti di collaborazione continuativa senza che essi stessi non siano riconducibili a programmi specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore.
Non è per forza individuato poi un termine di durata ma deve essere comunque determinabile il termine. Questo sempre nell'ottica di evitare l'uso fraudolento di questo tipo di contratti.
La legge è abbastanza vaga su cosa sia il progetto o programma. Per tale motivo il ministero del lavoro è intervenuto con circolari che hanno specificato e chiarito meglio. La circolare n.1 2004 ha chiarito che il progetto deve essere un'attività produttiva, deve essere determinata o comunque ben identificabile e deve essere collegata ad un risultato da raggiungere. Tale programma può essere legato o meno a un'attività dell'azienda.
Il contratto a progetto nella causale deve avere un progetto che consista in un'attività produttiva autonoma e distinta rispetto a quella del committente, purché esse siano comunque collegate.
La circolare n.4 del 2008 si è soffermata di nuovo sulla definizione di programma dicendo che questo non può totalmente coincidere con l'attività principale dell'impresa come definita nello statuto della stessa.
Il progetto deve avere una sua identità e non può essere previsto il semplice svolgimento di un'attività lavorativa e non possono elencarsi semplici mansioni.
Il contratto di lavoro a progetto inoltre non può essere conferito a tempo indeterminato. Non è essenziale un termine di durata ma è necessario che la durata sia predeterminata o predeterminabile.
La determinazione può essere legata allo svolgimento del progetto.
Il contratto di lavoro a progetto non è subordinato perché il lavoratore è fondamentalmente autonomo per l'attività che svolge e per la modalità con cui il progetto viene svolto in funzione del risultato da raggiungere.
Comunque l'autonomia deve essere contemperata dal legame che sussiste tra un'attività accessoria e l'attività dell'impresa stessa. Dunque se il lavoratore ha diritto di svolgere autonomamente il suo lavoro questi deve comunque coordinarsi con l'attività dell'impresa.
Il datore di lavoro non può impartire direttive ma è ovvio che il lavoratore a progetto deve seguire ad esempio gli orari di apertura dell'azienda, se in essa deve lavorare.
L'autonomia del lavoratore viene pattuita al momento della conclusione del contratto o nella sua esecuzione.
Se il lavoratore a progetto può essere tenuto a rispettare degli orari di lavoro perché la sua attività si deve svolgere nell'azienda, è anche vero però che il committente non potrà infliggere sanzioni disciplinari qualora gli orari non siano rispettati, in quanto tale strumento può essere applicato solo per i lavoratori subordinati.
La circolare n.4 del 2008 ha precisato che le prestazioni elementari sono difficilmente compatibili con un'idea di progetto. È facile immaginare che ci si stia avvalendo di un lavoratore a progetto per eludere solo una disciplina fiscale e previdenziale più gravosa. Quindi il ministero del lavoro ha fatto un elenco di attività presumibilmente non riconducibili a un contratto a progetto.
Sui centralinisti il ministero si è soffermato distinguendo tra lavoratori addetti all'outbound (clienti) e all'inbound (ricezione telefonate). In questa differenziazione il ministero ha ammesso il lavoro a progetto per i lavoratori outbound in quanto si può immaginare una necessità durante campagne che hanno durate determinate.
Per gli addetti alle attività inbound è escluso il contratto di lavoro a progetto.
Dunque il lavoro a progetto si distingue dal lavoro subordinato perché non c'è un vincolo e si distingue dal lavoro autonomo perché il lavoratore autonomo si rivolge esclusivamente al raggiungimento di un risultato e non c'è alcuna collaborazione con l'azienda.
Il rapporto di lavoro occasionale non può superare la durata massima di 30 giorni e il compenso non può essere retribuito con più di 5000 euro l'anno. Per il resto sono anch'esse collaborazioni coordinate e continuative che non richiedono l'esigenza di specificazione di un programma di un progetto.
Il legislatore ha previsto che nel caso in cui si superino i limiti temporali o retributivi il datore di lavoro dovrà stipulare con il lavoratore un rapporto di lavoro a progetto perché la collaborazione si è protratta più del previsto.
Il lavoro accessorio altro non è che un tipo di lavoro occasionale che può essere stipulato solo in determinate ipotesi tassativamente previste dalla legge, come per giardinaggio, manutenzione strade, collaborazione domestica e giovani iscritti all'università di età inferiore a 25 anni e studenti liceali nel fine settimana o nelle vacanze. Tali lavori possono essere retribuiti attraverso i voucher del ministero del lavoro che vengono distribuiti dall'INPS.
I lavoratori della PA non possono essere assunti attraverso il lavoro a progetto. Non è consentito neanche agli agenti di commercio il cui rapporto di lavoro è regolato nel codice civile,
ai liberi professionisti, ai lavoratori che lavorano per associazioni ed enti variamente collegati al CONI. Come anche i facenti parte di organi di amministrazione e controllo di società e coloro che percepiscono una pensione di vecchiaia.
Il contratto deve essere stipulato in forma scritta, per quanto non sia chiaro se la forma scritta sia richiesta ad substantiam o ad probationem. Il ministero del lavoro ha detto che la forma scritta è chiesta ad probationem.
È necessaria l'indicazione nel contratto a progetto della durata che deve essere determinata o determinabile, l'indicazione del progetto, del programma o delle fasi di esso, il corrispettivo e tutte le forme di coordinamento che il committente può imporre al lavoratore per lo svolgimento della sua attività produttiva purché ciò non pregiudichi l'autonomia.
La giurisprudenza ha chiarito che all'interno del testo contrattuale non è necessaria la denominazione esplicita di contratto a progetto e la giurisprudenza ha affermato che il contratto può essere definito a progetto anche dopo l'inizio del rapporto di lavoro.
Elemento essenziale è quello del corrispettivo disciplinato dall'art.63 per cui il compenso deve essere proporzionato alla qualità e quantità del lavoro e secondo al legge deve tenere conto del valore di mercato della prestazione di lavoro.
Questa previsione secondo la giurisprudenza può però dar vita a tariffe che contrasterebbero con le norme poste a tutela della concorrenza.
L'art.66 prevede regole per la gravidanza, malattia e infortunio del lavoratore a progetto e dispone che questi non comportano l'estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso senza l'erogazione del corrispettivo. Tali casi non prevedono comunque una proroga.
Il committente può recedere se l'assenza supera 1/6 della durata (qualora essa sia predeterminata) oppure superiore a 30 giorni se la durata è solo determinabile. La durata del lavoro è prorogata di 180 giorni solo nel caso di gravidanza.
Il lavoratore ha diritto all'applicazione da parte del committente di tutte le norme sulla sicurezza e l'igiene previste dal d.lgs. 626 del 1994.
Anche per il contratto a progetto la giurisdizione competente è quella del giudice del lavoro.
Il rapporto di lavoro a progetto si estingue al momento della realizzazione del progetto o programma o parte di esso ed è prevista la possibilità di recedere anche prima per giusta causa o per le cause stabilite dalle parti nel contratto.
Le cause sono dunque la realizzazione del progetto o programma o parte di esso; dal momento in cui si porta a termine il lavoro il contratto è estinto. Il rapporto è risolto anche dopo la scadenza del termine ove previsto.
Nel caso di risoluzione anticipata non ci sono conseguenze circa il godimento della retribuzione residua, cioè il lavoratore percepirà l'intera retribuzione prevista fino alla scadenza del termine.
Terzo caso di estinzione è quello della giusta causa per cui quando ci sia un avvenimento che incida sul rapporto di lavoro a progetto si ha diritto a recedere anticipatamente dal contratto.
Ulteriori cause possono essere stabilite nel singolo contratto per cui le parti possono convenire la libera recidibilità senza obbligo di preavviso.
Come conseguenza la parte non recedente ha diritto a un risarcimento di misura pari al periodo di tempo in cui non ha prestato lavoro altrimenti si fa riferimento ai principi generali.
Art.69 stabilisce quali sono le sanzioni nel caso in cui si instauri un contratto a progetto in modo illegittimo. In particolare vi è una conversione del rapporto in un lavoro subordinato a tempo indeterminato retroagendo al giorno della stipula contrattuale se non era previsto il progetto, programma o parte di esso. In caso di simulazione, se invece il rapporto è correttamente stipulato, il contratto di lavoro a progetto si trasforma in contratto subordinato corrispondente a quanto si è effettivamente messo in pratica e realizzata tra le parti. Il contratto si presume subordinato ma la presunzione può essere assoluta o relativa, a seconda dell'interpretazione che se ne da.

Il licenziamento disciplinare

L'esercizio del potere disciplinare avviene mediante una dettagliata disciplina descritta dallo statuto dei lavoratori e si applica indipendentemente dalla misura dell'impresa. Questo porta all'obbligo del datore di lavoro di avere un codice disciplinare posto della contrattazione collettiva o dal datore di lavoro indipendentemente.
Sostanzialmente il datore di lavoro può o provvedervi mediate un estratto dal contratto collettivo nazionale, sia attraverso un contratto collettivo aziendale oppure può proporlo unilateralmente. Comunque va affisso all'interno dell'azienda, si affigge sia l'intero contratto( per quanto vi sia controversia sulla legittimità) oppure direttamente si affigge il codice disciplinare.
Secondo recente giurisprudenza l'affissione e la predisposizione, in caso di espulsione del lavoratore, non sono necessari se si tratta di comportamenti che sono lesivi delle regole generali, quindi nei casi di furto, rissa ecc.(cassazione del 2 settembre 2004 n.17763).
un altro caso in cui non è necessaria l'affissione sussiste quando il lavoratore va contro gli obblighi di correttezza e buonafede se portati all'eccesso(cass. 2009 n.18169).
La ragione di queste eccezioni alla regola è nel fatto che il comportamento è illegittimo anche in assenza dell'affissione.
Le infrazioni sono rapportabili ad una serie di doveri del prestatore di lavoro: diligenza, obbedienza e fedeltà. È necessario evitare ritardi e assenze sul lavoro ingiustificati. La cassazione nel 2005 ha stabilito che l'assenza ingiustificata oltre un certo termine è causa di scioglimento solo se avviene entro certi casi. Il datore di lavoro deve contestare per iscritto l'addebito (forma scritta ad substantiam). Inoltre la contestazione va comunicata in un certo modo per particolari contratti.
Altre forme di conoscenza non vanno a supplire la mancanza della forma scritta. Vale solo una comunicazione consegnata brevi manu facendosene dare una copia per ricevuta salvo che il contratto non preveda diverso modo specifico.
La comunicazione deve avere tre requisiti: la specificità, l'immediatezza, l'immutabilità.
La specificità significa che deve esserci una descrizione dettagliata dell'illecito perché sia tutelato l'art.24 della costituzione che garantisce il diritto di difesa.
Il datore di lavoro non ha però l'obbligo di indicare eventuali prove tramite cui sia venuto a conoscenza dell'illecito, né documentale né testimoniale.
Non è tenuto nemmeno a dare comunicazione della documentazione aziendale salvo che per garantire il diritto di difesa.
Il principio dell'immediatezza è un principio generale e dice che la contestazione dell'infrazione deve avvenire immediatamente dopo la sua commissione, il datore di lavoro può aver avuto conoscenza anche dopo la sua commissione e allora in questo caso si applica a partire dalla conoscenza del datore di lavoro dell'avvenuta infrazione.
Secondo la giurisprudenza se il lavoratore ha modo di dimostrare che il datore di lavoro già conosceva la situazione questi non è legittimato a contestare la presunta infrazione.
La giurisprudenza con sentenza del 2008 in caso di concorrenza con il giudizio penale ha affermato che il datore può contestare immediatamente al lavoratore e sospendere la procedura disciplinare fino all'esito del giudizio penale.
Laddove vi sia un procedimento nei confronti del lavoratore vi può essere una sospensione cautelare, strumento adottato dal datore di lavoro quando i tempi del procedimento sono incompatibili con quelli del lavoro in azienda. Non si tratta di un procedimento disciplinare e non comporta una sospensione della retribuzione ma è strettamente connesso al procedimento disciplinare. Può essere avviato quando ha cominciato l'esercizio del potere disciplinare e quando il procedimento penale sia incompatibile nei tempi con il lavoro in azienda.
Terzo e ultimo requisito è quello dell'immutabilità e cioè i fatti su cui si basa la sanzione devono coincidere con quelli della contestazione. La sanzione deve essere proporzionata alla fattispecie. la giurisprudenza con la sentenza n.14212 del 2010 dice che il datore di lavoro non può contestare ulteriori fatti perché graverebbe sul diritto di difesa del lavoratore.
Il procedimento è formato da diverse parti: contestazione, giustificazione, comunicazione e comunicazione dell'esecuzione.
Nel momento in cui il lavoratore riceve la contestazione il lavoratore ha per legge(l.300 1970) un termine in cui può presentare le giustificazioni per iscritto o oralmente oppure ancora per iscritto chiedendo anche l'audizione personale. Il termine è di 5 giorni dalla contestazione e dal momento in particolare in cui egli l'ha ricevuta. La contrattazione collettiva ha stabilito a volte un termine superiore.
Nel corso dell'audizione il prestatore di lavoro può farsi assistere da un sindacalista cui ha conferito mandato ma normalmente non è concessa la presenza di avvocati.
Il termine è prorogabile solo per chiusura della società e comunque per il termine si computano anche le domeniche.
Il licenziamento non può esservi nel caso in cui il lavoratore sia in malattia, salvo che si tratti di licenziamento per giusta causa. La giurisprudenza ha stabilito che vale il licenziamento salvo che nel caso di motivo soggettivo di licenziamento. Di solito succede che il lavoratore finisce per essere licenziato per superamento del limite di comporto.
Secondo alcuni contratti tra giustificazione e licenziamento deve esserci un limite non superiore a 20 giorni per cui il lavoratore dopo aver chiesto l'audizione si mette in malattia e crea uno slittamento di tempi che va oltre il termine di 20 giorni. Il datore di lavoro può concedere ulteriori proroghe riservandosi il diritto di agire disciplinarmente. Così avviene fino all'audizione personale e seguirà poi la sanzione disciplinare o meno.
Il licenziamento disciplinare è motivato da inadempimento del lavoratore e comprende tutte le ipotesi di giustificato motivo soggettivo e gran parte delle ipotesi di licenziamento per giusta causa indipendentemente dal fatto che la contrattazione collettiva le includa o meno nelle ipotesi.
Il vincolo fiduciario viene leso in modo così irreparabile che la situazione non può rientrare in alcun modo. Il giudice può degradare il licenziamento da giusta causa a quello per motivo soggettivo così che cambia il termine di preavviso. La giurisprudenza ha però ravvisato un comportamento illegittimo da parte del giudice in questo caso.
Di per sé l'illecito penale non giustifica il licenziamento ma è necessario valutare una serie di elementi in base a principi di coscienza sociale ad esempio nel caso in cui l'illecito avvenga fuori dagli orari e luoghi di lavoro.
Una sentenza di proscioglimento non vincola d'altro lato il datore circa il licenziamento.
Nel caso in cui il lavoratore sveli alla concorrenza segreti il lavoratore viola l'obbligo di fedeltà anche se il comportamento non è previsto nel codice.
Il dirigente, avendo tante prerogative, è in regime di libera recidibilità nel caso in cui sussista una giustificatezza del licenziamento. Dunque fino al 2007 il dirigente aveva una lettera di comunicazione del licenziamento e il rapporto si chiudeva in quel momento.
n.7880 del 2007 dice che l'art.7 della l.n. 300/1970 deve essere allargato anche ai dirigenti e quindi ricomprende tutti i lavoratori salvo che i collaboratori domestici. Se non si osserva tale procedura il licenziamento è ingiustificato, come se fosse daterminato da ingiustificato motivo.
Tale sentenza ha creato molte difficoltà in quanto ha modificato fortemente la prassi.
Per i dirigenti non c'è inoltre la reintegrazione sul posto di lavoro salvo che il licenziamento non sia considerato nullo come ad esempio nel caso di discriminazioni.
Tutta la procedura si chiude con l'intimazione di licenziamento che è atto unilaterale e recettizio che vale a meno che il lavoratore non fosse nell'impossibilità di riceverlo.
L'intimazione di licenziamento va inviata con raccomandata(procedura più logica) e non è necessario che vi sia un dettaglio di tutti i motivi essendo sufficiente un riferimento alla lettera di contestazione. Dopo di che il rapporto si risolve.
Se non vengono rispettate le garanzie del procedimenti il licenziamento non è nullo ma illegittimo e per tale motivo si ha una tutela reale con la reintegrazione e risarcimento mentre in caso di tutela obbligatoria si ha il solo risarcimento.

Il contratto a tempo determinato

con il codice del 1865 non si prevede un contratto di lavoro a tempo indeterminato, nel 1942 c'è un ribaltamento e il contratto a tempo determinato è previsto per ipotesi speciali.
Con la legge 230 del 1962 si può prevedere un contratto a tempo determinato per casi tassativi.
Nel 1970 il legislatore torna a vedere con favore il contratto di lavoro a tempo determinato e
secondo importanti studiosi la ragione è determinata dall'introduzione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. L'articolo 18 prevede una tutela rafforzata per il lavoratore in caso di licenziamento, nel caso in cui sia illegittimo il datore di lavoro è obbligato a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro in quanto il licenziamento è tamquam non esset.
Secondo importanti autori aver previsto dei vincoli più stringenti all'interruzione dei rapporti di lavoro creando delle sanzioni per il datore di lavoro in comportamenti non corretti ha determinato la possibilità di stipulare contratti a termine.
Questo ha portato nel tempo a prevedere sempre maggiori fattispecie e poi ha fatto si che i sindacati potessero prevedere diverse fattispecie di contratti a termine.
Il legislatore nel 1962 aveva specificatamente previsto la sanzione contro chi prevedeva contratti a tempo determinato nei casi fuori dalla legge.
Nel 1999 la comunità europea fa una direttiva al fine di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato e per evitare l'abuso nei contratti a tempo determinato.
Dunque si muove su due direttive:migliorare la qualità del lavoro e porre una regolamentazione per evitare abusi del contratto a termine.
Il contratto a termine può essere risolto solo per giusta causa e al suo termine si interrompe. Con tale direttiva si evita che il datore di lavoro ricostituisca continuamente il contratto a tempo.
Il legislatore ha promulgato il d. lgs. 368 del 2001 che ancora regola la materia sebbene l'originale sia stato poi modificato dalla l. 247 del 2007 la 133 del 2008 e la 103 del 2010.
secondo il disposto dell'art.1,1 comma del d.lgs. 368 i contratti a tempo determinato possono essere costituiti solo in caso di necessità tecnico organizzativo produttivo e sostitutivo dunque è sostituita la tipicità con una clausola generale. Non c'è un'elencazione tassativa delle ipotesi ma delle ragioni che possono determinare la stipula. Questo rappresenta il cuore della disciplina:il datore di lavoro non può stipulare sempre rapporti a tempo determinato. Questa è una fattispecie speciale, il contratto a tempo indeterminato è sempre la regola.
Oggi la legge 247 del 2007 introduce un comma 0 che dice che il contratto subordinato è di regola a tempo indeterminato, evidenziando ancora di più questo fatto. Il contratto a tempo determinato è una fattispecie speciale. Nel contratto deve essere espressa la causale per cui è stato stipulato.
Secondo alcuni autori le fattispecie che giustificano l'assunzione a tempo determinato devono essere anche temporanee. Secondo invece altra parte di dottrina e giurisprudenza è necessario che le ragioni sussistano oggettivamente ma siccome né nella legge né nella direttiva è richiesta esplicitamente la temporaneità allora essa non deve essere richiesta.
Con la legge 133 del 2008 si introduce una nuova modifica all'art.1 esplicitando che le necessità possono riferirsi anche all'ordinaria attività del datore di lavoro. Dunque non devono essere temporanee e speciali. L'unica cosa necessaria è che le ragioni siano specificate.
Per i settori postali e aeroportuali i datori di lavoro possono stipulare contratti a termine acausali, senza che sussistano ragioni dette. L'importante è che siano rispettati altri requisiti.
Per il servizio postale è necessario che i contratti abbiano la durata prescritta dalla legge, che gli assunti a tempo determinato non superino il 15% degli assunti a tempo indeterminato.
Il problema più grande posto dal 368 è che il legislatore non specifica la sanzione in caso di contratto a tempo determinato stipulato in assenza di ragioni.
Due sono le tesi possibili da seguire e che la giurisprudenza ha di fatto seguito: secondo una prima tesi quella del legislatore è una mera omissione e dunque va convertito il rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato, come previsto da altre sanzioni.
Secondo una parte minoritaria della giurisprudenza invece troverebbe applicazione qui l'art.1419 c.c., cioè la nullità del contratto. In particolare vi è nullità qualora risulti che almeno una delle parti non avrebbe stipulato il contratto in assenza di quella clausola. Questa sarebbe una soluzione sfavorevole per il lavoratore in quanto il datore può determinare la nullità dell'intero contratto.
Il collegato lavoro è la legge 183 del 2010 che ha disciplinato di nuovo vari istituti del diritto del lavoro a partire dal licenziamento fino ad incidere sul contratto di lavoro a tempo determinato.
L'art.32,5comma: nei casi di conversione di contratto a tempo determinato il giudice condanna...ecc. Dunque capire se la sanzione è quella della conversione o meno diventa fondamentale. Secondo i primi commentatori il legislatore determina anche qui la conversione.
...condanna al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva tra i 2,5 e le 12
mensilità di fatto. Sostituendo cosi l'ipotesi precedente secondo cui si doveva dare la retribuzione a partire dal termine dichiarato illegittimo.
Le ipotesi della giurisprudenza sono: a quali contratti a tempo determinato va applicato? La legge esclude le mensilità? Il lavoratore ha diritto solo all'indennità?o il legislatore voleva accompagnare la conversione alle mensilità e all'indennità?
Secondo l'interpretazione letterale il lavoratore non ha diritto alla retribuzione ma solo alla indennità, specificandosi tra l'altro che è onnicomprensiva.
Art.8 l.204 del 1966 determina i criteri per stabilire l'indennità.
Il lavoratore a tempo determinato deve avere lo stesso trattamento del lavoratore a tempo indeterminato.
È necessaria per il contratto a tempo determinato la forma scritta, altrimenti si ha conversione.
Il legislatore ha previsto divieti di assunzioni di lavoratori a tempo determinato per lavoratori che sostituiscano lavoratori in sciopero, per le attività produttive in cui vi sia una sospensione, per unità produttive che non abbiano fatto la valutazione rischi(?).
Il contratto a termine può essere prorogato solo una volta con il consenso del lavoratore, solo quando la durata originaria del contratto era inferiore a 3 anni. Il legislatore è intervenuto sull'art.4 del 368 prevedendo una durata massima del contratto a termine di 36 mesi.
Il legislatore ha previsto anche il modo in cui si possono stipulare contratti a termine. Non si possono stipulare i due contratti a termine senza soluzione di continuità. Per i contratti di durata superiore a 6 mesi sono necessari 20 giorni. Nel caso siano inferiori a 6 mesi 10giorni.
Il legislatore ha previsto che la sanzione è quella della conversione.
Il contratto a termine non va confuso con il contratto a tempo parziale, il part time.
Il contratto a termine è identico ad un contratto a tempo indeterminato ma gli è apposto un termine, il contratto a tempo parziale rappresenta una fattispecie diversa.
Il collegato lavoro, soprattutto per quanto riguarda l'art.32,5' comma, ritenuto costituzionalmente illegittimo, ha fatto sollevare la questione di legittimità costituzionale rispetto agli artt.3,24,36,111,117cost.
Secondo essi introduce un trattamento peggiorativo per il lavoratore e dunque illegittimo perché trova applicazione a tutti i giudizi in corso, violando il principio del giusto processo. Per questo
sarebbe anche in contrasto con l'art.6 della CEDU.