GIUSTIZIA COSTITUZIONALE
IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELLE LEGGI Il controllo giudiziario sulla legittimità delle leggi può svolgersi secondo due modelli diversi tra loro, che sono il giudizio diffuso e il giudizio accentrato. Il giudizio diffuso comporta l'attribuzione ad ogni giudice del sindacato di costituzionalità della legge, mentra il giudizio accentrato comporta l'attribuzione di tale sindacato in modo esclusivo ad un organo dotato dello specivico potere di dichiarare l'illegittimità ostituzionale della legge.
IL GIUDIZIO DIFFUSO NEGLI STATI UNITI Il giudizio diffuso nasce per la prima volta negli stati uniti, pur non essendo previsto dalla costituzione. Il principio del sindacato di legittimità costituzionale delle leggi da parte di ogni giudice fu enunciato per la prima volta attraverso la sentenza madbury vs madison della corte suprema degli stati uniti nel 1803. In particolare il giudice ordinario deve disapplicare la legge ritenuta incostituzionale; la disapplicazione vale solo per la controversia in questione e non pone vincoli nei confronti degli altri giudici. Il rimedio a tale situazione d'incertezza del diritto si trova nel principio dello stare decisis, secondo il quale le decisioni della corte suprema sono formalmente vincolanti nei confronti di tutti i giudici.
Il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi non ha negli stati uniti una propria autonomia processuale essendo esso espresso all'interno di una ulteriore controversia.
Le norme ritenute incostituzionali dalla corte suprema non vengono annullate ma continuano formalmente ad esistere nell'ordinamento pur non potendo più essere applicate né dai giudici né dalle autorità amministrative.
IL GIUDIZIO ACCENTRATO IN ITALIA La corte costituzionale, prevista dalla costituzione del 1948 entrò in funzione solo nel 1956 dopo che erano state approvate le leggi ordinarie e costituzionali previste dall'art.137.
Tra i motivi che hanno portato alla preferenza di un controllo accentrato va ricordata l'inesistenza in Italia del principio dello stare decisis e la preoccupazione di non squilibrare l'equilibrio tra i poteri dello stato. Motivo per cui tra l'altro i componenti della corte costituzionale sono scelti da organi diversi e tra appartenenti ad organi diversi.
Secondo il disposto dell'art.135 la corte costituzionale si compone di 15 giudici nominati per 1/3 dal P.d.R, per 1/3 dal Parlamento e per 1/3 dalle supreme magistrature ordinarie ed amministrative.
I giudici della corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinarie ed amministrative, i professori ordinarie in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio.
La situazione cambia quando la corte giudica sulle accuse promosse contro il P.d.R. dal parlamento in seduta comune in quanto ai quindici giudici ordinari si aggiungono altri sedici membri tratti a sorte tra un elenco di cittadini che hanno i requisiti di eleggibilità a senatori che il parlamento compila ogni 9 anni.
I giudici la cui nomina spetta al P.d.R. sono nominati con decreto di quest'ultimo, controfirmato dal Presidente del consiglio dei ministri.
I giudici nominati dal parlamento in seduta comune sono eletti da quest'ultimo a scrutinio segreto e con la maggioranza dei 2/3 dei componenti, mentre è sufficiente la maggioranza dei 3/5 dallo scrutinio successivo al terzo.
Le supreme magistrature proclamano giudici coloro i quali raggiungono la maggioranza dei voti, purché superi la maggioranza assoluta, nelle votazioni successive si procede altrimenti a ballottaggio tra i candidati che abbiano riportato il maggior numero di voti.
I giudici della corte costituzionale sono nominati attualmente per nove anni, decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento e non possono essere nominati nuovamente. L'ufficio di giudice della corte è incompatibile con quello di membro del parlamento, di un consiglio regionale, con l'esercizio della professione di avvocato e con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge.
I giudici della corte costituzionale non sono sindacabili, né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Inoltre essi godono dell'immunità accordata dall'art.68,2comma ai membri delle due camere.
La corte elegge tra i suoi componenti e a maggioranza degli stessi il presidente che rimane in carica per un triennio ed è rieleggibile, salvo scadenza dell'ufficio di giudice.
Alla corte è data autonomia regolamentare e finanziaria. Vale inoltre per i dipendenti della corte il principio di autodichia. Tali disposizioni sono però contenute in una legge ordinaria e perciò, in linea teorica, esse potrebbero essere modificate.
Le competenze della corte costituzionale sono: il sindacato di legittimità delle leggi e degli atti aventi forza di legge; il giudizio sui conflitti di attribuzione tra poteri dello stato e tra lo stato e le regioni e tra regioni; il giudizio di ammissibilità sulle richieste di referendum abrogativo; il giudizio sulle accuse promosse contro il P.d.R.
IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' DELLE LEGGI E DEGLI ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE DELLO STATO E DELLE REGIONI
CONCETTI GENERALI La corte costituzionale è esclusivamente giudice di legittimità e gli è precluso ogni sindacato di merito in ordine al contenuto delle leggi e degli atti con forza di legge.
Si distingue inoltre una illegittimità originaria nei confronti di norme di grado superiore già esistenti mentre si parla di illegittimità sopravvenuta nel caso in cui le norme di grado superiore siano create in un momento successivo rispetto all'atto o la disposizione di grado inferiore. In questo secondo caso l'illegittimità vale solo dal momento di entrata in vigore della norma costituzionale.
I vizi sostanziali attengono inoltre al contenuto normativo mentre i vizi formali attengono al mancato rispetto delle norme di grado superiore sul procedimento di formazione.
ASPETTI SOSTANZIALI DEL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE
OGGETTO DEL GIUDIZIO sono sottoponibili al giudizio di Legittimità della corte gli atti, le disposizioni o le norme che li compongono. Gli atti oggetto del giudizio di legittimità sono individuati dall'art,134 cpv. che limita il giudizio alle leggi dello stato e delle regioni e agli atti aventi forza di legge.
L'esclusione delle fonti fatto non comporta l'esclusione di qualsiasi norma non scritta dovendosi infatti ammettere il giudizio nei confronti di norme non scritte create da una fonte-atto, come ad esempio l'ordine di esecuzione delle clausole di un trattato internazionale ratificato dallo stato italiano. L'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale deve avere per oggetto la disposizione legislativa connettente l'ordine di esecuzione per la parte in cui si riferisce a norme ricavate da determinate clausole del trattato.
Sottoponibili al controllo di Legittimità sono anche le leggi costituzionali, in opposizione a un criterio sostanziale che riterrebbe applicabile il principio cronologico.
Un'ipotesi particolare di sindacato sulle leggi costituzionali ricorre per quelle previste dall'art.116 che hanno capacità derogatoria limitata al titolo V della parte seconda della costituzione.
Ricorre inoltre il problema dell'individuazione degli atti aventi forza di legge, che dipende appunto dal criterio definitorio di forza di legge. Secondo una prima tesi le caratteristiche della forza di legge sarebbero la primarietà e la raffrontabilità in termini di equipollenza alla legge. In sintesi un atto sarebbe proprio della forza di legge qualora sia capace di abrogare quest'ultima. Tale capacità viene ulteriormente specificata da altra parte della dottrina che articola la forza di legge in senso attivo e passivo, come capacità di abrogare la legge e di resistere all'abrogazione da parte di atti inferiori alla legge. Entrambe le tesi escludono tutti gli atti i cui rapporti con la legge siano determinati in base al principio della competenza.
La forza di legge definita in senso attivo e passivo presuppone il principio della gerarchia come principio regolatore dei rapporti tra atti normativi.
Sulla base del criteri odi competenza è stata elaborata un'ulteriore tesi per la quale atti con forza di legge sarebbero quelli autorizzati da una norma costituzionale a disciplinare determinate materie ad essi riservate e sulle quali deve ritenersi escluso l'intervento della legge.
Condo un'ulteriore tesi, che ribalta il sillogismo, atti con forza di legge sarebbero quelli sindacabili dalla corte costituzionale, ossia tutti gli atti per cui l'ordinamento italiano non prevede un sindacato diverso.
Secondo ulteriore tesi, che integra le tesi precedenti, atti con forza di legge sarebbero tutti gli atti normativi primari sotto il profilo della gerarchia e della competenza, che siano insindacabili da parte di qualsiasi autorità all'infuori della corte.
Nessun problema si è posto in ordine ai decreti legislativi, mentre la precarietà dei decreti legge ha posto dei problemi in ordine alla sindacabilità di tali atti. La corte ha ammesso comunque la possibilità di trasferire la questione di costituzionalità del decreto-legge impugnato e non convertito alla identica norma contenuta nel decreto-legge reiterato.
La corte ha espresso con la sent.n. 360 del 1996 l'illegittimità costituzionale della reiterazione in quanto altera la natura provvisoria della decretazione d'urgenza, attenua la sanzione di perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, incide sugli equilibri istituzionali e intacca la certezza del diritto nei rapporti tra i diversi soggetti.
Il governo può intervenire successivamente solo qualora il nuovo decreto risulti caratterizzato da contenuti sostanzialmente diversi o, pur avendo in contenuto identico al precedente, risulti fondato su nuovi autonomi e sopravvenuti motivi di straordinaria necessità ed urgenza.
Inizialmente la corte ha ritenuto che la conversione in legge assorbisse e sanasse ogni possibile vizio formale del decreto, data la sua natura di novazione dell'atto. Tuttavia la corte ha mutato di recente la propria posizione escludendo la Legittimità di decreti-legge convertiti che mancassero originalmente in modo evidente del presupposto della necessità ed urgenza.
Dunque la corte afferma che la legge di conversione non può sanare l'evidente mancanza dei presupposti della straordinaria necessità ed urgenza. Diversamente per il caso dei decreti-legge reiterati la corte da un lato ha confermato il riconoscimento della capacità sanante della legge di conversione e dall'altro ha riaffermato la propria competenza a sindacare la legge di conversione in tutti i casi di carenza chiara e manifesta dei presupposti giustificativi del decreto-legge.
La corte ha ritenuto che possono formare oggetto del giudizio di Legittimità anche i decreti legislativi di attuazione degli statuti delle cinque regioni ad autonomi speciale che hanno essenzialmente ad oggetto l'attuazione della disciplina statutaria e al trasferimenti di uffici e personale dallo stato alle regioni. I casi di eventuale illegittimità per tali decreti possono verificarsi per vizi formali, quando sia data applicazione ad una norma statutaria illegittima o quando travalicano i limiti delle competenze assegnatigli.
In linea teorica dovrebbe essere sindacabile dalla corte anche il decreto con il quale il P.d.R. proclama l'avvenuta abrogazione di una legge o di alcune sue disposizioni a seguito di referendum abrogativo.
Per quanto concerne le fonti comunitarie, la corte costituzionale ha sempre escluso che esse possano essere oggetto diretto del giudizio di Legittimità, è ammesso invece il controllo di tipo indiretto qualora essi contrastino con i principi fondamentali dell'ordinamento o con i diritti inviolabili dell'uomo. Le norme comunitarie si pongono come oggetto indiretto del controllo in quanto il giudizio di Legittimità verterebbe sulla legge nazionale di esecuzione dei trattati comunitari.
La corte ha inoltre sottoposto sporadicamente al controllo di Legittimità costituzionale atti eccezionali con forza di legge, legati a peculiari contingenze storiche.
Essa ha invece escluso la sindacabilità dei regolamenti amministrativi, dei regolamenti da essa adottati e dei regolamenti parlamentari.
I regolamenti amministrativi non sono atti dotati della forza di legge, secondo la disposizione dell'art.4 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile. Altrettanto vale per i regolamenti adottati dalla stessa corte.
Per quanto riguarda invece i regolamenti parlamentari il ragionamento della corte ha prescisso dalla questione della forza di legge basandosi invece sulla indipendenza guarentigiata che sarebbe da riconoscere al parlamento in quanto centro del sistema ed espressione immediata della sovranità popolare. La corte nega dunque che dalla qualificazione della forza di legge ne discenda automaticamente il valore di legge e viceversa.
PARAMETRO DEL GIUDIZIO LE norme di raffronto nel giudizio di Legittimità costituzionale vengono comunemente definite come norme parametro del giudizio di Legittimità costituzionale.
Norme parametro sono tutte le norme formalmente costituzionali e oltre ad esse anche altre norme.
La violazione della norma costituzionale può infatti avvenire sia in modo diretto che indiretto. Il concetto della violazione indiretta della costituzione è stato elaborato dalla dottrina che è arrivata alla definizione del concetto di norma interposta, che ricorre quando una norma formalmente costituzionale affida ad una norma non formalmente costituzionale il compito di fissare i criteri di validità di successive leggi ed atti con forza di legge.
Quanto all'eccesso di delega legislativa, devono considerarsi norme interposte tutte le norme contenute nella legge di delega, comprese quelle tendenti a stabilire limiti ulteriori rispetto ai tre espressamente previsti dall'art.76.
Secondo il nuovo disposto dell'art.117,1comma il diritto internazionale pattizio sembrerebbe acquistare rilievo come possibile norma interposta.
I decreti di attuazione degli statuti e delle regioni ad autonomia speciale prevalgono sulle leggi ordinarie dello stato e costituiscono pertanto il parametro del giudizio di Legittimità dello stato.
La corte riconosce infatti alle disposizioni contenute nei decreti di attuazione il carattere di norme interposte, dilatando il concetto di norma interposta elaborato dalla dottrina.
Sorge invece il problema della parametricità delle disposizioni contenute negli statuti delle regioni ad autonomia ordinaria essendo dubbia la competenza della corte circa le disposizioni statutarie espressione del contenuto eventuale.
Un ultimo caso certo di norme parametro é rinvenibile nell'art.10,1comma cost. che prevede la creazione indiretta di norme interne sulla base di un meccanismo automatico di adattamento dell'ordinamento giuridico italiano alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.
Scontrandosi con il principio della rigidità della costituzione fissato dell'art.138, all'attribuzione del valore di norme costituzionali è preferibile la qualificazione di tali norme come interposte.
La corte ha inserito tra le norme parametro anche le norme desumibili da consuetudini costituzionali, solo però qualora una norma costituzionale sia incompleta, generica o poco chiara e in quanto riconducibili in positivo a norme o principi costituzionali.
Nella giurisprudenza costituzionale più recente sono stati inseriti dei parametri eventuali la cui idoneità sussiste solo in presenza di determinate condizioni.
Nel caso della reiterazione dei decreti-legge la corte deve necessariamente integrare il parametro costituzionale con il decreto-legge non convertito.
L'esito del referendum abrogativo può essere utilizzato quale elemento di integrazione del parametro nella valutazione della legge che tenda a ripristinare le norme abrogate per volontà popolare.
Il controllo sulle leggi di interpretazione autentica comporta la valutazione della norma di interpretazione rispetto alla disposizione interpretata.
Per quanto concerne invece il sindacato delle leggi condotto alla stregua dell'art.3,1comma cost. il parametro costituzionale viene ad essere integrato da altre norme usate come termine di raffronto.
Rispetto alle fonti comunitarie la giurisprudenza della corte è stata altalenante, dovendo alla fine adeguarsi ai rilievi della corte di giustizia europea che ha imposto un caso di sindacato diffuso in Italia, attribuendo al giudice ordinario il compito di disapplicare la norma in contrasto. La corte costituzionale si è comunque ritenuta competente ad accertare la violazione di norme comunitarie sia quando il il governo impugni leggi regionali contrastanti con il diritto comunitario, sia quando le regioni impugnino in via di azione leggi dello stato che contravvengono al diritto comunitario.
In tal caso l'intervento della corte è legittimo in quanto non ritarda l'immediata applicabilità della norma comunitaria. Nella stessa logica la corte si è ritenuta competente a sindacare il contrasto tra una direttiva non auto applicativa e la legge che ad essa di attuazione o integrazione in modo errato od incompleto.
La corte costituzionale ha inoltre escluso che le norme dei regolamenti parlamentari siano norme parametro ai fini della valutazione della Legittimità costituzionale delle leggi approvate dal parlamento. A sostegno di tale decisione la corte ha addotto tre argomenti: in primo luogo perché la corte ha competenza limitata al controllo delle sole norme formalmente costituzionali per quanto concerne il procedimento di formazione delle leggi; in secondo luogo in quanto l'art.72 non può considerarsi norma in bianco che attribuisca rango costituzionale alle disposizioni inserite da ciascuna camera nel regolamento; in terzo luogo in quanto essendo l'interpretazione del regolamento attribuita alla camera, anche l'osservanza dello stesso è rimessa alla camera stessa.
Vero motivo risiede nella loro potenziale cedevolezza, valendo come principio fondamentale della prassi costituzionale la possibilità di derogare ad una norma del regolamento qualora non vi sia opposizione da parte di alcuno.
ASPETTI PROCESSUALI Al fine di evitare la paralisi della giustizia costituzionale il costituente ha sentito la necessità di istituire meccanismi processuali di accesso alla corte che ponessero un limite qualitativo e quantitativo agli atti sottoponibili per questioni di Legittimità costituzionale.
Sotto il profilo quantitativo la scelta fondamentale è stata quella di consentire solo allo stato e alle regioni di ricorrere in via diretta alla corte, pur consentendo a tutti un accesso al cosiddetto giudizio in via incidentale.
Sotto il profilo qualitativo troviamo il limite posto nei confronti delle regioni che possono ricorrere alla orte contro una legge dello stato o di un'altra regione per il solo vizio di incompetenza.
Non sussiste inoltre l'automatica operatività della eccezione di Legittimità costituzionale sollevata dalla parte nel giudizio in via incidentale.
GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE O IN VIA DI ECCEZIONE Il giudizio in via incidentale ha come presupposto l'esistenza di un giudizio che si svolga dinanzi ad una autorità giurisdizionale, detto comunemente giudizio a quo.
Al fine di riconoscere la legittimazione ad instaurare il giudizio costituzionale si ammette che possa trattarsi di organi rispetto ai quali ricorrano congiuntamente i requisiti oggettivi e soggettivi della giurisdizione in modo attuale. I concetti di giudice e di giurisdizione utilizzati al fine di promuovere eccezioni di Legittimità costituzionale assumono una valenza eminentemente relativa.
Nel corso del giudizio ciascuna delle parti può sollevare l'eccezione indicando le disposizione della legge o dell'atto con forza di legge che si assumono viziate e le disposizioni della costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate.
La questione può comunque essere sollevata d'ufficio dallo stesso giudice a quo.
Il giudice a quo deve compiere in relazione all'eccezione sollevata dalla parte il giudizio sulla rilevanza ed il giudizio sulla non manifesta infondatezza della questione.
Il giudizio sulla rilevanza consiste nella verifica della applicabilità della norma; il concetto di applicabilità va inteso ne significato più ampio possibile, ossia anche quando essa possa essere utile a risolvere anche sole questioni accessorie o questioni attinenti ad aspetti processuali del giudizio.
Il giudizio sulla non manifesta infondatezza della questione nasce sulla base della necessità che il giudice a quo eserciti una funzione di filtro e non conferisce comunque al giudice ordinario il compito di effettuare un controllo sulla costituzionalità della norma. Il punto importante riguarda dunque il grado di convinzione che il giudice a quo deve acquisire per poter rimettere la questione alla corte costituzionale.
La corte costituzionale richiede inoltre con sempre maggior insistenza che il giudice eserciti anche un ulteriore controllo al fine di ricostruire le disposizioni alla stregua dei principi della costituzione.
Qualora il giudice non tenti di interpretare la disposizione come conforme alla costituzione la questione è ritenuta manifestamente inammissibile dalla corte.
Qualora il giudice a quo dubiti della conformità della norma rispetto a una disposizione comunitaria di diretta applicazione egli è tenuto a sollevare la questione pregiudiziale interpretativa alla corte di giustizia dell'unione europea. Nel caso in cui la disposizione comunitaria non sia di diretta applicazione la corte costituzionale mantiene la sua competenza.
Nel caso in cui la corte accolga la questione di Legittimità costituzionale, emette un'ordinanza con cui dispone l'immediata trasmissione degli atti alla corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.
GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE costituisce l'unica strada attraverso cui si può ricorrere direttamente alla corte come giudice della Legittimità costituzionale delle leggi.
I soggetti legittimati sono solo lo stato e le regioni nei loro rapporti reciproci.
Precedentemente alla riforma il ricorso dello stato e delle regioni erano differenti dal punto di vista sostanziale e sul piano processuale. La gamma dei motivi di ricorso disponibile per lo stato era più ampia per lo stato che poteva ricorrere a fronte della violazione di una qualsiasi norma parametro.
Mentre le regioni potevano ricorrere solo a fronte di violazione di norme parametro che individuano la ripartizione delle competenze tra stato e regione.
La giurisprudenza della corte tuttavia ha successivamente modificato tale impostazione dando possibilità alla regione di ricorrere ogniqualvolta una legge statale incida negativamente sull'autonomia delle regioni.
Sotto l'aspetto processuale le regioni potevano fare solo un ricorso di tipo successivo mentre allo stato era data possibilità di compiere un ricorso preventivo.
A seguito dell'entrata in vigore della L.cost. n.3 del 2001 il testo dell'art.127 cost. è stato interamente sostituito con una nuova disposizione che porta alla parificazione sul piano processuale del ricorso dello stato e del ricorso della regione, entrambi di tipo successivo entro il termine di 60 giorni; l'eliminazione del controllo sulle leggi regionali da parte del commissario di governo; l'eliminazione del vizio di merito delle leggi regionali per contrasto con gli interessi nazionali o di altre regioni.
Rimane comunque a seguito della riforma la possibilità dello stato di ricorrere, a differenza delle regioni, per la violazione di qualsiasi norma parametro in quanto gli è riconosciuto un ruolo di generale controllo di Legittimità costituzionale secondo la proclamazione dell'art.5 cost.
A seguito dell'introduzione del nuovo art.123cost. Che modifica il procedimento di formazione degli statuti, che diviene una fonte a totale competenza regionale, si pone il dubbio dell'individuazione del dies a quo dal quale decorrono i trenta giorni per l'impugnazione governativa. Secondo la corte è necessario considerare il controllo di costituzionalità sugli statuti come preventivo, ovvero alla data della pubblicazione notiziale dello statuto.
La distinzione tra il giudizio in via incidentale e in via di azione si basa, oltre che sul diverso modo di accesso, anche per il fatto che il giudizio in via incidentale non è un giudizio tra parti, dal momento che la questione di Legittimità giunge alla corte sulla base dell'ordinanza di remissione del giudice a quo.
Il giudizio in via principale è invece per definizione un giudizio tra parti, da cui deriva la possibilità che il giudizio si estingua per rinuncia al ricorso della parte e che necessita un interesse a ricorrere concreto ed attuale.
La cosiddetta legge La Loggia del 2003 ha introdotto importanti novità in riferimento ai giudizi in via principali, prevedendo che la corte fissi l'udienza di discussione del ricorso entro 90 giorni dal deposito dello stesso. Inoltre, secondo un'ulteriore introduzione, qualora l'applicazione dell'atto o di parti esso comportino il rischio di un irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico della ripubblica la corte può sospendere d'ufficio l'esecuzione della legge.
In tal caso l'udienza pubblica è fissata entro i successivi 30 giorni.
IL GIUDIZIO DI FRONTE LA CORTE Dopo l'eventuale costituzione delle parti e la nomina di un giudice relatore, il giudizio può proseguire in camera di consiglio o in udienza pubblica. Qualora nella camera di consigli ola corte si renda conto che la questione non può essere decisa con le ordinanze la causa viene rinviata alla pubblica udienza , vengono ascoltate le parti che si sono costituite e successivamente la corte si ritira in camera di consiglio per deliberare, nominando, dopo la votazione, un giudice per la redazione della sentenza.
Ordinanze di manifesta infondatezza vengono adottate quando la corte non ravvisa alcun argomento a favore della incostituzionalità della norma.
Ordinanze d'inammissibilità sono quelle che individuano l'esistenza di una causa che impedisce la decisione nel merito della questione. I motivi di preclusione sono insanabili o sanabili.
Ordinanze di restituzione degli atti al giudice a quo attualmente la corte vi ricorre solo in caso di ius superveniens. La restituzione ha lo scopo di consentirgli di stabilire se la norma originaria è ancora applicabile al giudizio in corso. Quando tuttavia i dubbi circa l'applicabilità della norma originaria non sussistono la corte procede autonomamente.
Ordinanze istruttorie servono ad acquisire notizie documenti o quant'altro necessario per consentire la decisione della corte sulla questione.
Sentenze di rigetto rigettano la questione sottoposta alla corte per infondatezza della questione, per inammissibilità o per cessazione della materia del contendere( solo nei giudizi in via principali).
L'oggetto delle sentenze di rigetto è sempre negativo e mai positivo. La corte non è vincolata alle proprie sentenze di rigetto, le parti possono ripresentare l'eccezione in un ulteriore grado o giudizio, può sempre sollevare la medesima eccezione un soggetto diverso.
Le sentenze di accoglimento dichiarano la illegittimità della disposizione nei limiti dell'impugnazione. La corte comunque dichiara quali sono le altre disposizioni legislative la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata.
Il loro effetto consiste nella definitiva eliminazione dall'ordinamento della norma dichiarata incostituzionale. Le sentenze di accoglimento hanno effetti retroattivi in quanto essa opera dal momento in cui si è determinata l'incostituzionalità, fatti salvi i rapporti esauriti. Un'eccezione è costituita dalla materia penale qualora una sentenza della corte determini un trattamento più favorevole per il reo.
Alla fine degli anni '80 la corte, per limitare la retroattività ha cominciato ad utilizzare la categoria della incostituzionalità sopravvenuta, accomunandovi anche l'ipotesi del bilanciamento dei valori che comporta un temperamento dell'efficacia retroattiva della pronuncia al fine d'individuare il punto di minore sofferenza per entrambi i valori costituzionali in contrapposizione.
Un primo sottotipo di sentenze della corte sono le sentenze monitorie che sono caratterizzate dal fatto che contengono in motivazione un ammonimento al governo o al parlamento a provvedere in ordine alla situazione determinatasi a seguito di una sentenza della corte
Un secondo sottotipo è costituito dalle sentenze interpretative, create dalla corte a fronte di disposizione cosiddette polisense. La corte ricorse per la prima volta ad una sentenza interpretativa di rigetto attraverso cui nel dispositivo si rigetta la questione indicando però nella motivazione l'interpretazione che non rende incostituzionale la disposizione. A seguito delle contestazioni della cassazione, soprattutto in riferimento al potere della corte di interpretare le disposizioni, la corte costituzionale replicò attraverso le sentenze interpretative di accoglimento attraverso cui la corte dichiara la illegittimità non della disposizione ma di una delle norme in essa contenute.
A partire dagli anni '60 sono comparse nella corte le cosiddette sentenze additive che dichiarano l'incostituzionalità dell'omessa previsione di qualcosa che avrebbe dovuto essere previsto dalla legge. L'annullamento elimina l'ostacolo all'espandersi di una norma già contenuta implicitamente nella disposizione stessa.
Forma analoga di decisione manipolativa è la sentenza sostitutiva attraverso la quale l'illegittimità colpisce un frammento testuale sostituendo al tempo stesso quest'ultimo con altro frammento di norma che rende la disposizione conforme a costituzione.
Tali sentenze, fortemente criticate per il loro distacco dalla funzione negativo eliminativa che spetta alla corte in forza del dettato costituzionale, sono difese dalla stessa corte in quanto si limiterebbero ad individuare una norma già implicita nel sistema.
Un nuovo tipo di decisone manipolativa sussiste con le cosiddette sentenze additive di principio , nate al fine di garantire i diritti costituzionalmente tutelati e di rispettare gli ambiti di discrezionalità del legislatore. Perplessità sono state espresse quando la corte ha esplicitamente specificato che la sentenza si indirizzasse esclusivamente al legislatore, imponendo ai giudici di continuare ad applicare la disciplina dichiarata incostituzionale.
sabato 8 gennaio 2011
La giustizia costituzionale
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