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sabato 26 gennaio 2013

Diritto amministrativo, l'appello


Il giudice d'appello del processo amministrativo é nato prima del giudice di primo grado. Esso é nato nel 1889 con la nascita della sezione IV del consiglio di stato rimanendo fino al 1971 il giudice di unico grado per molte materie. Una giunta provinciale amministrativa era stata creata nel 1890 che aveva tuttavia un ruolo ristretto. La costituzione, all'articolo 125 dice che in ogni regione ci sono tribunali amministrativi regionali, a sostituzione delle giunte provinciali, penate per la materia locale e regionale. L'art103 della costituzione vede invece il consiglio come preferito ai primi istituti. Da questi articoli si era letto un principio di doppio grado di giudizio. Quando nel 1971 si istituirono i TAR ci si pose il problema se si trattasse di organi che trattassero le materie delle giunte o se per tutte le competenze avesse competenza di giudice di primo grado. L'interpretazione più conforme ai principi di giustizia fu quest'ultima. La legge istitutiva dei TAR prevede inoltre il ricorso per revocazione e il ricorso per cassazione. Quello per revocazione si ricalca sulla disciplina del codice civile e prevede un'istanza verso lo stesso giudice da parte di chi ritiene che la sentenza sia inficiata da dolo di giudice o parte, errore di fatto, scoperta di documenti nuovi ecc. il ricorso per cassazione é guidato dalle norme costituzionali, dall'art111cost per cui si ammette il ricorso per motivi inerenti la giurisdizione. Il ricorso per cassazione in materia civile o penale si ammette prima di tutto per violazione di legge, qui invece lo si ammette solo per motivi di giurisdizione. Quando il consiglio decide su materie devolute a giurisdizione ordinaria o contabile o quando al contrario si neghi la giurisdizione che si ritiene invece esservi. Forma di impugnazione generale é l'appello, un atto con cui si introduce un iudicium novum. Si riproduce in sede di appello il giudizio di primo gravo pur con delle limitazioni. Oggeto dell'appello é una sentenza già intervenuta e i termini del rapporto tra le parti vengono a fare i conti con la pronuncia del giudice. L'azione di annullamento, quella più frequentemente esercitata, é legata a motivi di ricorso riconducibili a violazione di legge eccesso di potere ed incompetenza. Il vincolo é forte tra i motivi di impugnazione e l'atto impugnato. Il TAR può respingere tutti i motivi o ritenerne fondati solo altri perché sia proponibile il ricorso é sufficiente che ne sia accettato uno solo. L'appello ha un oggetto limitato dalla sentenza in quanto il ricorrente deciderà l'oggetto in base a cosa sia stato deciso dal giudice di primo grado rispetto alle sue istanze. La legittimazione ad appellare compete alla parte soccombente. Se il ricorso viene accolto per solo alcuni motivi il vincitore di primo grado che subisce l'appello ha interesse a far valere le ragioni che il giudice di primo grado ha respinto, scattando i presupposti dell'appello principale. L'appello acquista una fisionomia più elaborata rispetto al primo grado, per il resto valgono i principi dettati dal codice di procedura civile. Per cui on si ammettono domande nuove e non sono ammessi in via teorica nuovi mezzi istruttori. La sentenza di primo grado é esecutiva, differentemente dal processo penale. Solo la sentenza penale passata in giudicato comporta la sua applicazione. Nel processo civile ed amministrativo la sentenza di primo grado é direttamente esecutiva. La sentenza che annulla il decreto impugnato comporta l'obbligo dell'amministrazione di adeguarvisi. L'appello di per se non sospende l'esecuzione, per ui é necessario proporre la domanda cautelare. Il consiglio di stato é giudice della cautela sia rispetto le ordinanze cautelari che procedono nel merito sia rispetto alle sentenze impugnate. Anche nel giudizio di appello si innesta allora una fase cautelare quando viene richiesta nei confronti della sentneza impugnata. I tempi di giudizio per tale fase sono brevi e la decisione é fondata sul fumus e sul danno. Il giudice d'appello é poi chiamato a decidere nel merito potendo confermare la sentenza di primo grado, riformare la sentenza o confermando la sentenza ma con diversa motivazione.

Diritto amministrativo, giudizio di ottemperanza


La questione sorge in epoca remota a partire dalla legge abolitiva del contenzioso che all'art4 prevedeva che il giudice non può revocare o annullare l'atto amministrativo se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative che si conforma al giudicato. La sentenza del giudice civile costituisce un vincolo a carico dell'amministrazione. Quando tutto é rimesso all'amministrazione anche l'annullamento finisce per essere aleatorio. Per questo nel 1889, con l'istituzione della quarta sezione del consiglio di stato, tra le materie devolute vi fu il ricorso per esecuzione del giudicato. Questa fase successiva alla sentenza del giudice civile, prima esclusivamente amministrativa, diventa fase suscettibile di sindacato giurisdizionale se l'amministrazione non si conforma al giudicato. Per via giurisprudenziale tale meccanismo viene esteso alle sentenze dei giudici amministrativo e quindi oggi ci si rivolge allo stesso giudice per ottenere l'esecuzione del giudicato del giudice amministrativo. L'unica indicazione dell'impianto normativo é quella di merito per cui quando il giudice amministrativo ha .. può limitarsi a denunciare vizi di legittimità. Quando la competenza é anche in merito il giudice può valutare l'opportunità la convenienza o giustizia emettendo nei confronti del comportamento dell'amministrazione una valutazione più complessa. Sulla base di tale abilitazione il giudice amministrativo ha cominciato ad articolare i propri poteri per far fronte alla domanda di giustizia. Il giudice amministrativo dice che l'esecuzione del giudicato comporta la rimozione dello stato di fatto non più autorizzato dall'espropriazione, se l'amministrazione si é impossessata del terreno l'annullamento dell'atto di espropriazione comporta anche il rilascio dell'immobile. la misura che il giudice adotta dipende dalla situazione concreta e dall'atto che viene annullato. Poiché spesso il giudice non é in condizione di stabilire egli stesso il provvedimento si inventa la figura del commissario ad acta che provvederà in luogo dell'amministrazione. Per l'efficacia dello strumento l'applicazione viene dilatata e la legge istitutiva dei TAR conferisce alle sentenze efficacia esecutiva immediata. Essendo la sentenza esecutiva l'amministrazione soccombente può proporre appello e chiedere la sospensione ma il privato, seconda ipotesi di applicazione, secondo modifica della legge del 2000, può beneficiare di un ricorso per esecuzione del “giudicato” anche per sentenze di primo grado impugnate. Terza ipotesi si ammette che il privato possa rivolgersi al giudice con un giudizio che non é di ottemperanza alla sentenza ma alla sola ordinanza, avendo pero gli stessi poteri. Il giudice esercita poteri atipici, calibrati sulle singole circostanze dove partecipano elementi delle diverse azioni in sua spettanza. L'art114cpa dice che in caso di accoglimento del ricorso il giudice può emettere provvedimento in luogo dell'amministrazione dichiarando nulli gli atti in contrasoalla conformazione al giudicato. Nel caso di inottemperanza di sentenze non passati in giudicato o provvedimento cautelari può prevedersi una ammenda calcolata in base al ritardo dell'amministrazione.

Diritto amministrativo, la tutela cautelare


Il procedimento cautelare fase frequente nel processo amministrativo con importanza cruciale. Si ordina la demolizione di una costruzione sul presupposto che si tratti di costruzione abusiva. Si fa ricorso, nel frattempo pero l'ordinanza agisce e si ha la demolizione. L'effetto si produce nel corso del processo pur avendosi avuto il ricorso contro tale effetto. Si ha contemporaneamente al processo un rischio implicito a che il tempo vada a danno del soggetto che ha ragione. Per questo al giudice si consente un provvedimento che anticipi gli effetti della futura sentenza. Si chiede dunque, insieme al ricorso, la sospensione all'esecuzione dell'ordinanza. La pronuncia sulla domanda di sospensione interviene a poche settimane dalla proposizione del ricorso. La cautela ha funzione di proteggere la parte attrice. La ln205/2000 riformula il contenuto dei poteri cautelari del giudice amministrativo, precedentemente regolato dalla legge istitutiva dei TAR 1971, in forma recepita oggi dall'art55cpa. La giurisprudenza ha portato alla creazione di ordinanze propulsive, volte a imporre all'amministrazione di riesaminare il provvedimento che ha portato al rifiuto. In luogo della vecchia sospensione si prevede nell'art55la misura cautelare più idonea, in analogia all'art700cpc. La misura cautelare rimane atipica, in ambito civile e amministrativo, ed é volta ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul ricorso o azione. Il cpc parla di pregiudizio imminente e irreparabile, il cpa parla di pregiudizio grave ed irreparabile. Non é sufficiente impugnare un provvedimento, per aversi la legittimazione alla misura cautelare. É necessario che dall'esecuzione derivi un pregiudizio grave ed irreparabile. Nel caso in cui si chieda sospensione per pregiudizio grave ed irreparabile ma con un ricorso mal formulato, il giudice deve porsi il problema della fondatezza del ricorso, per quanto la sospensione sia giustificata. Un secondo presupposto é che il ricorso appaia prima facie non del tutto infondato. Il ricorso deve presentare dunque un fumus boni iuris, una mera apparenza in quanto i tempi volti alla valutazione sono brevi e non permettono di verificare la sostanza. Il ricorrere ai provvedimenti cautelari dipende dal fatto che nell'ordinamento italiano non é data automaticamente la sospensione, salvo che in casi quali l'appello penale o innanzi alla corte dei conti. La domanda cautelare si formula, secondo l'art55cpa, con il ricorso di merito o con distinto ricorso notificato alle altre parti. La domanda di cautela, dovendo essere notificata all'amministrazione e alle eventuali altre parti, deve dare anche un tempo sufficiente alla difesa per le controparti. Il lasso di tempo, 20 giorni, che é assicurato alla difesa può comunque portare a pregiudicare il bene protetto dall'attore. Il cpa prevede allora, all'art56, che prima della trattazione da parte del collegio in camera di consiglio, in caso di estrema gravità si possono disporre comunque misure cautelare e provvisorie da parte del presidente del TAR attraverso un provvedimento monocratico, sottoposto alla convalida da parte del collegio. Il processo cautelare é importante perché, a causa della durata dei processi amministrativi, permette che si eviti il pregiudizio grave ed irreparabile ai danni della parte attrice. Vi sono inoltre casi in cui la fase cautelare può anche chiudere l'intero processo e con esso la doglianza. Ciò può avvenire nel caso in cui l'amministrazione, chiamata a riesaminare in via cautelare da parte del giudice, accolga senza riserve la posizione del ricorrente. A seguito dell'ordinanza cautelare che chiede di esaminare la questione si risolve la questione e il ricorso diventa improcedibile per cessazione della materia el contendere. Con l'istituzione del TAR nel 1971 si penso' che non fosse ammesso il ricorso in appello al consiglio di stato per le misure cautelari, in quanto riservate al solo TAR. La corte costituzionale disse allora che la misura cautelare decide una fase del processo, che si inserisce nell'ambito del processo di cognizione, per cui giudico' incostituzionale la parte della legge in cui non si ammetteva appello in consiglio di stato per le misure cautelari. La richiesta di misura cautelare presuppone che vi sia un ricorso, ma possono aversi ipotesi estreme in cui i tempi sono talmente stretti da non potersi avere tempo per il ricorso. La corte di giustizia UE valutando il canone dell'effettività della tutela giurisdizionale, essa ha come componente essenziale la tutela cautelare, che può chiedersi anche in assenza dell'esercizio dell'azione. Deve potersi porre anche prima del ricorso, potendosi come terza tutela somministrata dal presidente del TAR prima che il ricorso venga proposto, come statuisce l'art61cpa. La tutela cautelare é stata rafforzata sul piano delle misure, all'originaria sospensione si sono aggiunte misure innominate che valgono per quanto ad effetti; sul piano delle modalità e competenza decisoria, del collegio e ora del presidente; dalla diversità e differenziazione dei tempi strettamente correlata alla grave urgenza di garantire l'effettività della tutela.

Diritto amministrativo, le azioni


Azione di annullamento nel processo amministrativo il potere di azione é il potere di agire in giudizio, le domande permettono di esercitare tale potere astratto. Nel sistema vi sono più azioni corrispondenti a diverse domande. Nell'art29 abbiamo l'azione di annullamento, nell'art30 l'azione di condanna. Nel cpa vi sono più azioni, questa é una novità in quanto prima vi era una sola azione tipica e il potere unico era quello di annullamento. L'ampliamento della azioni e domande porta ad ampliamento delle pronunce e poteri del giudice. Dalla sola pronuncia d'annullamento si ha ora la possibilità di adottare più tipi di condanna. Dopo l'entrata in vigore del codice si é discusso circa la tipicità o atipicità del sistema. Il sistema ha 3 azioni(condanna, annullamento, accertamento) o ve ne sono anche altre? L'opinione maggioritaria, suffragata dalla giurisprudenza, é per l'atipicità del sistema. La giurisprudenza ha tratto argomento soprattutto dall'art34 comma 1 lett. C) che dispone che il giudice deve adottare tutte le misure idonee. Il giudice dunque, può anche utilizzare azioni diverse. L'azione di annullamento é sempre rimasta la stessa, rientra tra le azioni costitutive che danno luogo a sentenza che costituisce una nuova situazione giuridica soggettiva. Tale sgs é o quella preesistente o, secondo altra ricostruzione, una nuova ma quanto più possibile similare alla precedente al provvedimento. Essendo essa la tipica azione costitutiva i caratteri essenziali sono posti in via succinta dal 29. l'azione dev'essere proposta entro termine decadenziale breve di 60gg (non é sottoposta a regime di prescrizione) superati i quali l'atto diventa inoppugnabile, anche se invalido salvo che per nullità. Ciò é dato per esigenze di certezza del diritto e di tutela dell'interesse pubblico. L'annullamento può essere pronunciato a riscontro di violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere, come statuito anche sul piano sostanziale dalla 241/1990. è sufficiente una censura riguardo tali vizi per avere l'annullamento dell'atto. Gli effetti dell'annullamento non sono ricompresi nel'lart29. Il primo e immancabile effetto è la rimozione del provvedimento impugnato. Essa avviene con efficacia ex tunc, dove la ragione é nel fatto che il vizio sia sempre esistito nell'atto. Quando la PA annulla atti d'ufficio secondo una visione giurisprudenza la retroattività può essere graduata. Accanto a questo si ha un effetto di ripristinazione(strettamente collegato alla rimozione) della situazione giuridica impugnata e si ha anche l'effetto conformativo. Il giudice quando annulla il provvedimento può anche dare indicazioni su attività amministrativa successiva all'annullamento. Questo avviene soprattutto quando l'oggetto sia un interesse legittimo pretensivo. Per questo dice il giudice come dovrà poi pronunciarsi in seguito, attraverso criteri di massima, l'amministrazione. Vi sono comunque deroghe poste da due sentenze. Non sempre l'annullamento retroagisce, dice la prima, e l'art21opties,2comma dice che non sempre bisogna annullare il provvedimento. Il processo amministrativo dal 1889 ha conosciuto esclusivamente l'azione di annullamento con la creazione della sezione quarta del consiglio di stato, essa é negata a chi agisce innanzi al giudice ordinario. Le novità sono sopravvenute con l'introduzione dell'azione di condanna ed altre nel processo amministrativo. Permane comunque l'assoluta centralità dell'azione di annullamento. L'oggetto dell'annullamento, se nel processo civile riguarda contratti, testamenti ecc, un oggetto variabile, nel processo amministrativo l'annullamento é del procedimento amministrativo, in modo piuttosto omogeneo. I limiti dell'azione di annullamento prevedono che non siano impugnabili gli atti politici. Tale norma é riprodotta nell'ambito del cpa 104/2010. in sostanza é vietata l'impugnazione di atti e provvedimenti che sono emanazione del potere governativo come atto politico. La ragione é individuabile nel fatto che mentre l'atto amministrativo é funzionale di uno specifico interesse pubblico, l'atto politico é espressione delle scelte ultime dell'ordinamento. il processo amministrativo nasce come processo di annullamento. Negli anni 30, nella giurisdizione esclusiva, si sono posti problemi quando mancava addirittura l'atto da impugnare. Circoscrivere il processo la giurisdizione esclusiva all'azione di annullamento significava l'imitare l'area di tutela. La giurisprudenza del Consiglio di Stato crea dunque la distinzione tra atti paritetici e autoritativi. In questi ambiti ci sono casi in cui l'amministrazione agisce come autorità. In altri casi invece essa agisce al pari di un privato. Rispetto agli atti di gestione non valgono le regole del processo di annullamento ma quelle del processo civili. Quando l'amministrazione omette di agire la giurisprudenza utilizza uno schema introdotto dalla normativa ad altri fini, nel testo unico per gli impiegati civili dello stato. Una norma indicava che in caso di omissione di decisione entro 60giorni gli si può notificare a mezzo di ufficiale giudiziario un atto di diffida con termine non inferiore a 30 giorni. Decorso il termine potrà agire con azione di responsabilità nei confronti del dipendente. Lo schema é utilizzato per formalizzare il rifiuto, detto silenzio rifiuto, da parte dell'amministrazione. Il silenzio viene equiparato al rifiuto esplicito che porta al ricorso contro il rifiuto. Il giudice pero non può annullare un atto che non esiste, per cui accerta se l'amministrazione aveva l'obbligo di provvedere. Per quanto la forma sia quella di annullamento nella pratica era in realtà quella di accertamento. Trova cosi luogo la nascita giurisprudenziale dell'azione di accertamento. Vi sono poi fasi intermedie nell'evoluzione di tali fattispecie fino alla sentenza 500/1999 delle sezioni unite cui si fa ampio riferimento nella sentenza suddetta. La Cassazione sovverte la propria giurisprudenza dicendo che l'interesse legittimo é situazione sostanziale affiancata al diritto soggettivo che ha diritto alla stessa pienezza di tutela. Se il danno vi é stato esso deve essere risarcibile. In tale sentenza un soggetto ha con il convenuto una convenzione edilizia(o di lottizzazione). Sopravviene poi un piano regolatore che cambia la destinazione edilizia dell'area destinandola a zona dedicata a verde pubblico e non edificabile. Il soggetto ottiene l'annullamento del piano in suo danno e si attiva azione di risarcimento del danno. La questione é rimessa alle Sez. Unite cassazione dice che ancorché si tratti di lesione di danno da interesse legittimo esso é risarcibile e l'azione va proposta innanzi al giudice ordinario. Il legislatore interviene prendendo atto della risarcibilità dell'atto devolvendo al giurisdizione al giudice amministrativo. Questi conosce oltre che l'azione di annullamento l'azione di risarcimento del danno. L'art7cpa porta alla definitiva coesistenza di azione di annullamento e azione di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi. L'amministrazione può cioé ledere in diversi modi, violando diritti soggettivi o interessi legittimi. Questo porta ad una tutela differenziata tra giudice ordinario e amministrativo a seconda che si leda l'uno o l'altro. Il principio é articolato in successive disposizioni del cpa, ad esempio nell'art29cpa. Si tratta di una norma che codifica lo schema dell'azione di annullamento. L'art30 cpa disciplina poi l'azione di condanna. La giurisprudenza trova, a partire dalla 205/2000, il problema della sovrapponibilità delle azioni: se si può chiedere in modo autonomo o dipendentemente dall'annullamento l'azione risarcitoria. Il giudice civile dice che si tratta di azioni distinte ed autonome. Il consiglio di stato dice che invece il danno che si lamenta deve essere ingiusto ex art2043cc. Per essere tale esso presuppone l'accertamento dell'illegittimità e quindi la risarcitoria dipende dall'azione di annullamento dell'atto. Ciò in quanto se il provvedimento non é impugnato, se l'interessato lascia decorrere il termine, esso si consolida e si presume legittimo. Se si adisce il giudice per lesione del danno pone in essere azione per l'accoglimento della quale manca la premessa dell'accertamento dell'illegittimità. Il dibattito trova composizione nel codice per il processo amministrativo dicendo che l'azione di condanna, nei casi di giurisdizione esclusiva e casi previsti dall'articolo, in via autonoma. Altrimenti si propone in via congiunta. Si pongono termini diversi di decadenza entro 60 giorni per l'annullamento e 120 per il risarcimento, ribadendo cosi il codice l'autonomia delle azioni. Il nesso continua comunque a sussistere tra le azioni quando si dice che nel determinare il risarcimento il giudice valuta le circostanze di fatto, il comportamento e l'ordinaria diligenza che avrebbe potuto evitare il danno. La formula é ermetica ma significa che si può esercitare autonomamente ma il giudice non liquida i danni che si potevano evitare con comportamento diligente. Assume ruolo fondamentale l'esercizio dell'azione di annullamento che avrebbe potuto circoscrivere il danno stesso. In caso di esercizio autonomo non si liquidano cioé i danni che si sarebbero potuti evitare nel caso in cui il danneggiato avrebbe esercitato l'azione di annullamento. Non si ha più assoluta pregiudizialità dell'azione di annullamento rispetto alla risarcitoria. Tuttavia il mancato esercizio dell'azione di annullamento incide sulla misura del danno in quanto esclude il danno che si sarebbe potuto evitare esercitando tale azione. il processo amministrativo nasce come processo di annullamento. Negli anni 30, nella giurisdizione esclusiva, si sono posti problemi quando mancava addirittura l'atto da impugnare. Circoscrivere il processo la giurisdizione esclusiva all'azione di annullamento significava l'imitare l'area di tutela. La giurisprudenza del Consiglio di Stato crea dunque la distinzione tra atti paritetici e autoritativi. In questi ambiti ci sono casi in cui l'amministrazione agisce come autorità. In altri casi invece essa agisce al pari di un privato. Rispetto agli atti di gestione non valgono le regole del processo di annullamento ma quelle del processo civili. Quando l'amministrazione omette di agire la giurisprudenza utilizza uno schema introdotto dalla normativa ad altri fini, nel testo unico per gli impiegati civili dello stato. Una norma indicava che in caso di omissione di decisione entro 60giorni gli si può notificare a mezzo di ufficiale giudiziario un atto di diffida con termine non inferiore a 30 giorni. Decorso il termine potrà agire con azione di responsabilità nei confronti del dipendente. Lo schema é utilizzato per formalizzare il rifiuto, detto silenzio rifiuto, da parte dell'amministrazione. Il silenzio viene equiparato al rifiuto esplicito che porta al ricorso contro il rifiuto. Il giudice pero non può annullare un atto che non esiste, per cui accerta se l'amministrazione aveva l'obbligo di provvedere. Per quanto la forma sia quella di annullamento nella pratica era in realtà quella di accertamento. Trova cosi luogo la nascita giurisprudenziale dell'azione di accertamento. Vi sono poi fasi intermedie nell'evoluzione di tali fattispecie fino alla sentenza 500/1999 delle sezioni unite cui si fa ampio riferimento nella sentenza suddetta. La Cassazione sovverte la propria giurisprudenza dicendo che l'interesse legittimo é situazione sostanziale affiancata al diritto soggettivo che ha diritto alla stessa pienezza di tutela. Se il danno vi é stato esso deve essere risarcibile. In tale sentenza un soggetto ha con il convenuto una convenzione edilizia(o di lottizzazione). Sopravviene poi un piano regolatore che cambia la destinazione edilizia dell'area destinandola a zona dedicata a verde pubblico e non edificabile. Il soggetto ottiene l'annullamento del piano in suo danno e si attiva azione di risarcimento del danno. La questione é rimessa alle Sez. Unite cassazione dice che ancorché si tratti di lesione di danno da interesse legittimo esso é risarcibile e l'azione va proposta innanzi al giudice ordinario. Il legislatore interviene prendendo atto della risarcibilità dell'atto devolvendo al giurisdizione al giudice amministrativo. Questi conosce oltre che l'azione di annullamento l'azione di risarcimento del danno. L'art7cpa porta alla definitiva coesistenza di azione di annullamento e azione di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi. L'amministrazione può cioé ledere in diversi modi, violando diritti soggettivi o interessi legittimi. Questo porta ad una tutela differenziata tra giudice ordinario e amministrativo a seconda che si leda l'uno o l'altro. Il principio é articolato in successive disposizioni del cpa, ad esempio nell'art29cpa. Si tratta di una norma che codifica lo schema dell'azione di annullamento. L'art30 cpa disciplina poi l'azione di condanna. La giurisprudenza trova, a partire dalla 205/2000, il problema della sovrapponibilità delle azioni: se si può chiedere in modo autonomo o dipendentemente dall'annullamento l'azione risarcitoria. Il giudice civile dice che si tratta di azioni distinte ed autonome. Il consiglio di stato dice che invece il danno che si lamenta deve essere ingiusto ex art2043cc. Per essere tale esso presuppone l'accertamento dell'illegittimità e quindi la risarcitoria dipende dall'azione di annullamento dell'atto. Ciò in quanto se il provvedimento non é impugnato, se l'interessato lascia decorrere il termine, esso si consolida e si presume legittimo. Se si adisce il giudice per lesione del danno pone in essere azione per l'accoglimento della quale manca la premessa dell'accertamento dell'illegittimità. Il dibattito trova composizione nel codice per il processo amministrativo dicendo che l'azione di condanna, nei casi di giurisdizione esclusiva e casi previsti dall'articolo, in via autonoma. Altrimenti si propone in via congiunta. Si pongono termini diversi di decadenza entro 60 giorni per l'annullamento e 120 per il risarcimento, ribadendo cosi il codice l'autonomia delle azioni. Il nesso continua comunque a sussistere tra le azioni quando si dice che nel determinare il risarcimento il giudice valuta le circostanze di fatto, il comportamento e l'ordinaria diligenza che avrebbe potuto evitare il danno. La formula é ermetica ma significa che si può esercitare autonomamente ma il giudice non liquida i danni che si potevano evitare con comportamento diligente. Assume ruolo fondamentale l'esercizio dell'azione di annullamento che avrebbe potuto circoscrivere il danno stesso. In caso di esercizio autonomo non si liquidano cioé i danni che si sarebbero potuti evitare nel caso in cui il danneggiato avrebbe esercitato l'azione di annullamento. Non si ha più assoluta pregiudizialità dell'azione di annullamento rispetto alla risarcitoria. Tuttavia il mancato esercizio dell'azione di annullamento incide sulla misura del danno in quanto esclude il danno che si sarebbe potuto evitare esercitando tale azione. nullità non esisteva nell'ordinamento amministrativo. Negli anni 80 la giurisprudenza del consiglio di stato ammette un'ipotesi di nullità non prevista dalla legge per violazione o elusione del giudicato. Nel 2005 la legge 15 inserisce l'art21septies rubricato nullità del provvedimento amministrativo. Si fanno rientrare il difetto assoluto, mancanza di elemento essenziale, violazione o elusione del giudicato e altri casi previsti dalla legge. Questa é l'unica disciplina della nullità del provvedimento amministrativo e non si dice nulla circa l'efficacia del provvedimento nullo, della giurisdizione, dei termini su azioni di nullità etc. parte della dottrina propose allora di rifarsi alla disciplina civile generale, un altro schieramento proponeva invece, ai fini della certezza del diritto nei rapporti nascenti da provvedimento amministrativo, la stabilità degli effetti. Si tratterebbe dunque di una annullabilità più forte. L'art31,4comma della 104/2010 disciplina per la prima volta l'azione di nullità. Questa disposizione é particoalre in quanto prevede un termine di decadenza di 180 giorni dalla comunicazione, notificazione, pubblicazione, piena conoscenza del provvedimento. Può sempre essere opposta dall'amministrazione e contro interessato e può essere rilevata sempre d'ufficio dal giudice. Non si applica per nullità data da violazione o elusione del giudicato. Tale azione, detta declaratoria di nullità, é sottoposta ad un termine di decadenza di 180 giorni rimanendo tuttavia l'eccepibilità senza termine. Questo porta ad una stranezza della disciplina stessa. l'azione di condanna é stata introdotta nell'ordinamento recentemente come azione generale con il secondo decreto correttivo al cpa ratificando un ordinamento giurisprudenziale che parte dalla pronuncia dell'adunanza plenaria n3/2011. L'azione di condanna é giovane in quanto il processo amministrativo si é basato da sempre, prima della sezione 4, sulla rimozione dell'elemento che creava compressione alla posizione giuridica del soggetto ricorrente. Si trattava di azioni costitutive annullatorie, volte alla rimozione del provvedimento di cui si assumeva l'illegittimità. Si comincia a parlare di azione di condanna, basandosi sulla pretesa sostanziale di vedere attuato un obbligo basato su fonte legale o negoziale rimasto privo di attuazione, quando al pretesa dedotta in giudizia attiene a compressione della libertà della controparte che deve realizzare un contegno in quanto cosi previsto dal titolo dedotto nel processo. Innanzi a un tale istituto un motivo di preclusione all'accesso a tale tutela il principio costituzionale di separazione tra i poteri che preclude la possibilità di statuire pronunciando in ordine ad un obbligo di fare da parte dell'amministrazione in quanto riservato al potere stesso. Le spinte provenienti dal plesso giurisdizionario ordinario in merito alla risarcibilità dell'interesse legittimo ha fatto si che in seguito alla sentenza n.500/1999 il legislatore con l.n.205/2000 modificando al legge TAR segna l'accesso della legge risarcitoria nel processo amministrativo. L'azione risarcitoria non é che un'azione di condanna in quanto il giudice amministrativo oltre a conoscere della validità dell'atto statuendo in merito all'annullamento va oltre in quanto esamina la portata della pretesa sostanziale sottesa sotto tale atto dichiarato illegittimo. La tutela apprestata si sostanzia nell'ordinare all'amministrazione di soddisfare la pretesa insoddisfatta attraverso la forma riparatoria che tende a ricostruire la posizione originaria attraverso un risarcimento pecuniario. Nello stesso momento storico, sempre con la 205 fa accesso nel processo amministrativo anche l'azione avverso il silenzio inadempimento che si avversa alle posizioni di inadempienza dell'amministrazione per il silenzio non qualificato. Questo silenzio si sostanzia nell'inerzia e nella frustrazione della pretesa del soggetto che interagisce con la pretesa. L'azione di specie prevede che il giudice statuisca in ordine all'obbligo dell'amministrazione a provvedere in seguito ad istanza proposta dal cittadino e il giudice, laddove il potere che viene in rilievo sia vincolato e il merito sia iscritto nella legge, può valutare la fondatezza della pretesa e pronunciare per un obbligo dell'amministrazione a provvedere nei termini dedotti nell'istanza che da luogo al procedimento. Queste due azioni hanno fatto ingresso nel cpa. Nell'ultimo decennio l'attenzione della giurisprudenza si concentra sull'elemento dell'autonomia o meno della domanda risarcitoria rispetto alla domanda di annullamento. La questione é sulla necessita che l'azione risarcitoria debba essere contestuale o meno a quella di annullamento. Azione sul diritto di accesso, la statuizione richiesta al giudice é di ordinare all'amministrazione di esibire i documenti, ha le caratteristiche dell'azione di condanna. La questione che si pone attraversa in modo trasversale la giurisdizione amministrativa che si incentra sul contenzioso appalti. Anche nell'ambito di quella specifica materia si pone il problema di ottenere accesso al bene della vita della stipula del contratto con la pubblica amministrazione. Anche questa azione si atteggia in misura tale da portare ad una statuizione da parte del giudice che condanna l'amministrazione a stipulare contratto con soggetto che risulta vittorioso nel giudizio di annullamento. Tali azioni, prima del cpa, avevano collocazione frastagliata e sono state ora riportate all'interno del codice. La presenza di azioni che portano a pronunce che invadevano lo spazio di esercizio del potere amministrativo mostrano un disegno che vuole far cadere il dogma dell'impossibilità di condannare. Cioé che potesse esistere azione generale di condanna, tanto che l'art42 della prima formulazione del codice cosi recitava. Nel diritto vivente si é affermato comunque il precetto ella generalità dell'azione di condanna in quanto nell'obiter dictum dell'adunanza plenaria 3/2011, tracciando le novità del processo amministrativo, si da per scontata l'azione generale regolata dall'art30. Si ricava tale considerazione dal fatto che tale articolo é dedicato interamente all'azione di risarcimento del danno. L'azione di condanna può proporsi insieme ad azione di annullamento o in via autonoma nei casi di giurisdizione esclusiva e casi previsti dall'articolo. Ulteriore punto a favore é dato dall'art34 nella parte in cui faceva riferimento alla possibilità che il giudice potesse adottare le misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta nel processo. Quello che dice l'adunanza plenaria, avendosi tali misure aggiuntive per l'interesse, l'accettazione del superamento del dogma nel comma2 dell'art34, ecco che l'azione generale é entrata nel processo.

Diritto amministrativo, la giurisdizione e il riparto


la giurisdizione ha due accezioni: in una prima indica l'ambito materiale di competenza di un giudice, in una seconda indica la forma della giurisdizione ossia l'ampiezza dei poteri cognitori di un giudice, tale nozione rileva soprattutto nel processo amministrativo. Distinzione tra giurisdizione e competenza: la giurisdizione è un fascio di competenze e ha riguardo ad un plesso giurisdizionale, mentre la competenza è rispetto a un organo giurisdizionale. Il riparto di giurisdizioni basato sulle situazioni giuridiche soggettive é il criterio generale di riparto; é il frutto ed esito del concordato nel 1930 tra cassazione e consiglio di stato. Si arrivo a tale accordo mentre alcuni dicevano dovesse basarsi sul petitum formale e chi sul petitum sostanziale. Il criterio di riparto, costituzionalizzato nell'art103cost sconta una difficoltà nell'incertezza della nozione di interesse legittimo e di conseguenza del suo rapporto col diritto soggettivo. Il diritto soggettivo è una pretesa diversa a un bene della vita attivabile anche in forma specifica dal titolare, senza il doversi frapporre di un'ulteriore sgs attiva. Per quanto riguarda l'interesse legittimo si ha pur sempre una sgs attiva ma fronteggia comunque il potere amministrativo. Esso ha una connotazione sostanziale, ha ad oggetto bene della vita, ma si interpone ad esso il conseguimento o conservamento attraverso la forza precettiva di un provvedimento amministrativo. Ci dev'essere l'interposizione del potere amministrativo al fine dell'esercizio di tale sgs attiva. La legittimità dell'azione amministrativa é oggetto o no della sgs attiva o coincide con esso? A seconda della risposta il potere del giudice amministrativo assume ampiezza diversa. Per far fronte a tali difficoltà giurisprudenza e dottrina hanno adottato criteri diversi, empirici, per definire l'interesse legittimo. La cosiddetta teoria della degradazione, dinnanzi all'esercizio del diritto amministrativo non può esservi .. l'esercizio del potere crea un’ interesse legittimo, degradando il diritto. Una rivisitazione di tale criterio parla di carenza di poteri in astratto e in concreto. Il potere amministrativo ha efficacia di degradare diritti in interessi ma se esso è nullo, inefficace ex tunc, il provvedimento non è esistente esso non è capace di degradare diritti soggettivi e quindi si rimane nell'ambito del giudice ordinario. Il cattivo esercizio del potere presuppone il potere, che pero è esercitato male. Siccome si tratta di annullabilità si rimane nella giurisdizione del giudice amministrativo. Tale teoria é abbandonata in quanto cosi l'interesse legittimo diventa forma di tutela del diritto soggettivo. Si tratta invece di due diverse sgs attive, disciplinate alla pari dalla costituzione. Cosi facendo si riconduce l'interesse legittimo al diritto ma muterebbe poi la nozione di diritto stesso. Non é possibile parlare di diritto soggettivo quando vi é potere amministrativo, sarebbe possibile solo in pochissimi casi. Si sono elaborati altri criteri empirici: norme di relazione e azione, rispetto a ciò che la norma inquadra. Si può dire che a un diverso tipo di norme corrisponde un diverso tipo di sgs. Dove si ha potere amministrativo non si ha rapporto paritario, dove si ha norma di relazione il rapporto é paritario. Tale visione é stata criticata in quanto sposta solo il problema in uno stadio più avanzato. Un ultimo criterio dice che l'interesse legittimo vi sarebbe solo innanzi ad un potere amministrativo discrezionale. Solo in tal caso l'amministrazione può scegliere e il destinatario del provvedimento non é tutelato direttamente in quanto l'amministrazione può scegliere. Innanzi ad un potere vincolato la possibilità di scegliere non c'é e si ha solo interposizione formale. Una specificazione del criterio é quella di atti meramente dichiarativi: non sempre si ha diritto soggettivo ma sicuramente si ha per gli atti meramente dichiarativi, come l'iscrizione ad un albo professionale una volta soddisfatti i requisiti. Vi sono poteri vincolati innanzi a cui non può esservi diritto soggettivo, come nel potere sanzionatorio in materia edilizia. I criteri sono vaghi e il problema risiede nella definizione dell'interesse legittimo, ancora più vaga dei criteri. Cospicua decurtazione nell'ambito della giurisdizione amministrativa a partire dal 1889 con l'istituzione della giurisdizione apposita. Ha cominciato a trovare applicazione la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi. L'art.24 Cost dice che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei diritti ed interessi legittimi e successivamente ha continuato a trovare applicazione. La giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato conferma tale dato che ci dice all'art.103 Cost. che il Consiglio di Stato e gli altri organi tutelano gli interessi legittimi e in particolari ipotesi anche i diritti soggettivi. In certi ambiti materiali la distinzione é particolarmente complicata e allo scopo di ausilio del potenziale ricorrente, l'intera materia é stata devoluta in blocco al giudice amministrativo con la conseguenza che il giudice conosce in tali materie degli interessi e dei diritti. Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo derivanti dal T.U. del 1924 e confermate dalla legge istitutiva del TAR hanno previsto via via sempre più materie devolute al giudice amministrativo. Per esempio contro gli atti delle autorità amministrative indipendenti la giurisdizione del Consiglio di Stato si ha una giurisdizione esclusiva. Nel 1998 questo spazio subisce un ulteriore allargamento con una norma d.lgs.80/1998 che devolve la materia dei servizi pubblici, dell'urbanistica, edilizia ed espropriazione. Si pone un problema che si era già affacciato: ci sono limiti alla giurisdizione esclusiva considerando che essendo data anche giurisdizione in tema di diritti soggettivi si ha un restringimento della giurisdizione ordinaria? Tale domanda investe il testo dell'art.103, sorge questione di legittimità costituzionale rispetto agli artt.33 e 34 del dlgs80/1998. Si ricostruisce l'intero sistema a partire dalle origini nella parte di diritto della sentenza. Le questioni sono ritenute fondate: la Carta ha recepito il sistema come dal 1865 in poi. All'assemblea costituente furono prospettate due tesi opposte: Calamandrei propose la soppressione della giurisdizione amministrativa, con un unico giudice ordinario, riprendendo la visuale della l.1865 senza il limite dell'art3 della stessa legge. Il divieto di giurisdizione speciale era posto in funzione del tribunale speciale istituito in epoca fascista. Ulteriore tesi, contrapposta a Calamandrei, si poneva su un giudizio storico per cui il Consiglio di Stato era riuscito durante il fascismo a mantenere maggiore autonomia rispetto al potere politico di quanto non avesse fatto la magistratura ordinaria. Il Consiglio di Stato si era in particolare opposto diverse volte a provvedimenti basati sulle leggi razziali. La Corte Costituzionale mette le mani avanti dicendo che la devoluzione delle cause al giudice ordinario non può non considerare che la legge del 1865 fu deficitaria in quanto gli affari non compresi svolgevano un ruolo centrale. La relazione Crispi spiega che l'istituzione della 4 sezione era volta a sopperire l'immensa fascia di interessi del singolo non effettivamente tutelati. Il costituente, accogliendo l'impostazione del mantenimento del consiglio ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario. La costituzione nel bandire le giurisdizione speciale, mantiene in vita la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato e altri giudici negando al qualifica di giudici speciali: sono giudici ordinari posti per la tutela di interessi legittimi e tutela in particolari casi dei diritti soggettivi. La Corte, dopo aver preso atto della volontà della Costituzione di voler mantenere l'assetto precedente, interpreta l'art.103cost nella parte in cui mantiene in vita la giurisdizione esclusiva. Non emergono elementi di chiarificazione rispetto alla giurisdizione esclusiva, previsione quasi accessoria per l'inscindibilità di interessi e diritti e prevalenza delle prime. Introducendo l’art 103 non è stata costituzionalizzata la giurisdizione esclusiva secondo la Corte, tuttavia è nella modifica di tal assetto che il legislatore incontra dei limiti. Lo status del giudice amministrativo come ordinario in materia di interessi legittimi viene confermata dalla posizione costituzionale degli interessi legittimi ex art. 24 Cost, posti sullo stesso piano dei diritti soggettivi. La giurisdizione esclusiva viene mantenuta per la inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e diritti sogettivi e la prevalenza delle prima. Data l'inscindibilità tra interessi e diritti e una inscindibilità é necessario dare la giurisdizione al giudice amministrativo. Questo tipo di giustificazione é stata alle base nel 1923 dell'allargamento della giurisdizione amministrativa(?), dove l'impiego pubblico aveva importanza centrale. L'ambivalenza della premessa esclude che possa ritenersi che la costituzione abbia cristallizzato la ripartizione originaria. Non é stata preclusa la variazione delle materie destinate alla giurisdizione esclusiva, tuttavia nella modifica il legislatore incontra dei limiti basati su due principi: tutti possono agire in giudizio ex art 24, la specialità del giudice può fondarsi solo sul fatto che si tratti di svolgere giurisdizione nell'amministrazione. Dopo aver illustrato la tendenza del legislatore ad allargare le materie, la corte osserva che le censure colgono che presupposto della normativa impugnata é smentito dal quadro costituzionale. Il vigente art.103,1comma non ha dato al legislatore assoluta e incondizionata disposizione della giurisdizione ma ha dato la sola libertà di determinarla per particolari materie dove vi siano anche, e non solo, diritti soggettivi. Il legislatore non può fondarsi solo sul lato oggettivo delle materie ma basarsi anche sui soggetti coinvolti. Fino al 2004 il criterio di riparto fissato dalla Costituzione si é andato evolvendo secondo la devoluzione al giudice amministrativo di blocchi di materie secondo giurisdizione esclusiva. La corte dice che non si tratta di blocchi di materie ma di singole materie in cui l'interesse legittimo sia rilevante e per i soli diritti soggettivi che siano anche essi implicati. La deduzione é che il collegamento con il parametro adottato dal costituente è dato dall'art.103 dove si dice che le materie devono essere “particolari”, devono partecipare della loro medesima natura dove la pubblica amministrazione sia autorità cui il singolo riferisce. Si tratta di controversie in cui vengono in rilievo essenzialmente interessi e anche diritti, la presenza dell'interesse legittimo attesta il fatto che l'amministrazione agisce come autorità cui è accordata tutela al singolo. La corte riprende la vecchia nozione della dottrina secondo la quale l'interesse è situazione soggettiva necessariamente correlata al potere amministrativo e non è implicita in ogni rapporto con l'amministrazione. Bisogna differenziare quando l'amministrazione agisca come autorità o meno, da cui differisce la situazione di interesse legittimo o diritto soggettivo. Laddove è data giurisdizione esclusiva, l'amministrazione agisca come potere e abbia autorità rispetto alla cui azione vi sono interessi legittimi simmetrici a cui possono intrecciarsi in posizione collaterale dei diritti soggettivi. Il legislatore ordinario può allargare l'area purché si tratti di materie particolari che in assenza di tali disposizioni si applicherebbe la giurisdizione ordinaria. La corte ribadisce che non basta un pubblico interesse, in quanto esso va soddisfatto anche quando l'amministrazione agisce come soggetto privato. É dunque necessario un particolare atteggiamento del pubblico interesse. La disciplina non è conforme alla costituzione; per quanto riguarda i pubblici servizi, non ci sono confini compiutamente delimitati e non può definirsi materia particolare, in quanto ha una definizione che è spesso variata e comunque estremamente vasta. La legge 205 conferma in gran parte il dlgs80/1998 e l'art.7 della legge riconosce al giudice amministrativo il potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto. Tale norma viene indicata come ulteriore forma di estensione della giurisdizione esclusiva. La Corte fa un distinguo: la dichiarazione di incostituzionalità non investe il potere riconosciuto rispetto al danno ingiusto in quanto non si tratta di nuova materia bensì di un nuovo potere del giudice simmetrico ad una nuova tutela del cittadino. Tale potere è conforme alla piena dignità di giudice e fonda le radici nell'art.24cost che implica che al giudice siano dati adeguati poteri. L'art33 del dlgs80 trasfuso nella l. 205/2000 è annullato tranne che nel risarcimento del danno, cosi come è annullato l'art 34 salvo che in una parte. Per quanto riguarda la materia urbanistica vi sono atti che non rientrano sotto l'ambito dell'autorità e per questo l'art34 è annullato. C.Cost.191/2006 contesta la legittimità della norma contenuta nel dpr 327/ 2001 su espropriazione per pubblica utilità nell'art53. Il fatto che la previsione dei comportamenti sia rispetto all'espropriazione e non all'urbanistica non cambia, ed è il comportamento in quanto tale che non costituisce legittimo esercizio di potere. La norma secondo i giudici a quo deve considerarsi costituzionalmente illegittima dove il giudizio costituzionale sembrerebbe scontato. Per l'espropriazione è necessaria la pubblica utilità e la prassi é di anticipare il mettersi nel possesso e durante il periodo di occupazione di urgenza l'opera viene iniziata e il decreto di espropriazione viene adottato dopo la scadenza di termini o non viene adottato del tutto. La cassazione inventa un congegno: nell'ipotesi in cui l'amministrazione sulla base di dichiarazione di pubblica utilità è spesso in presenza di un decreto d'occupazione d'urgenza, abbia realizzato l'opera pubblica ma abbia proceduto a trasformazione irreversibile del bene, per questo motivo l'amministrazione diventa proprietaria del manufatto e del suolo e al proprietario rimane solo l'azione di risarcimento del dallo rispetto al valore del suolo. Giustificazione simile é giustificata a partire da norme del codice civile che prevedono ad esempio la possibilità del costruttore che abbia utilizzato parzialmente suolo altrui di acquisirlo pagando il triplo, o in tema di specificazione che danno prevalenza all'autore della specificazione. La cassazione desume principio generale secondo cui nel conflitto l’autore che ha agito nel perseguimento di pubblico interesse, quest'ultimo, il pubblico va considerato prevalente: da qui si individua un nuovo modo di acquisto della proprietà. L'idea di occupazione appropriativa è una tesi che è durata per circa 25 anni sin quando nel 2007 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha detto che tale istituto è contrario alla CEDU, in particolare rispetto alla proprietà, e che ha portato la corte costituzionale e il legislatore poi ad adeguarsi. Il dpr su espropriazione per pubblica utilità è del 2001, antecedente alla soluzione del problema. La sentenza riconosce che l'intento del legislatore del 2001 è stato di riproporre il dlgs80/1998. Nell'ipotesi in cui gli atti sono riconducibili all'esercizio dell'attività dell'amministrazione essi non sono sottoposti alla censura della corte. La corte da per scontata la distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa: a seconda che vi sia dichiarazione di pubblica utilità antecedente o meno, nel secondo caso si ha un comportamento di mero fatto rispetto al quale opera la ratio evocata dalla corte costituzionale nella sentenza 204/2004. Si distingue con la 191/2006 il comportamento non riconducibile a pubblico potere e quindi si ha illegittimità, e il comportamento legittimo che sono esercizio di pubblico esercizio in quanto legittimati. La corte ha cercato di salvarsi, ma l'istituto della occupazione, appropriativa o usurpativa, è stata in seguito eliminata dalla corte europea. Il problema del riparto é sempre esistito in Italia anche a prescindere dalla giurisdizione esclusiva. Questo problema dipende dalla labilità del criterio di distinzione, dall'incertezza dei confini, dalle dinamiche del potere amministrativo e l'efficacia dei provvedimenti quali risultano dalla giurisprudenza. Ci sono ipotesi in cui la posizione del privato a fronte della pubblica amministrazione è inequivocabilmente di interesse legittimo, nei casi in cui il privato chiede un provvedimento a lui favorevole e non si ha un diritto. Si tratta di interesse legittimo o semplice, quindi giuridicamente irrilevante? Il diritto sopravvive all'esercizio del potere amministrativo? Ci si può rivolgere al giudice ordinario per la tutela del diritto di proprietà? Controversie in cui si fa questione di un diritto soggettivo in cui sia comunque interessata una pubblica amministrazione. Se l'amministrazione adotta un provvedimento di espropriazione legittimo esercita il potere che la legge le conferisce di sacrificare il potere di proprietà del privato. Nell'ipotesi in cui il provvedimento sia illegittimo la legge abolitiva del contenzioso, evoca l'idea di un atto amministrativo illegittimo che continua a spiegare gli effetti durante il giudizio, che non può essere revocato dall'ordinario e continuerà ad operare fino a che l'autorità amministrativa non si conformerà al dictum del giudice ordinario. A fronte della previsione legislativa di un conflitto dal quale deve uscire vincitrice la PA nei confronti del diritto la costituzione pone una condizione: che il potere sia esercitato in conformità alla legge. La difesa di proprietario espropriato, non é sul piano della proprietà stessa, ma sulla legittimità dell'espropriazione: che vi siano i documenti necessari alla stessa, sull'indennità di espropriazione, ecc. nel caso in cui non si rispettino tali condizioni il provvedimento è impugnabile e nell'ipotesi che la domanda sia accolta il decreto di espropriazione sarà annullato. A seguito di ciò il diritto estinto dal provvedimento espropriativo subisce una reviviscenza in quanto viene meno l'atto che lo aveva fatto venir meno. La questione si pone dunque in termini di vicenda temporale: nella prima fase si ha un proprietario, nella seconda fase, si ha l'estinzione del diritto e nella terza fase si ha la l'annullamento del decreto e il ritorno nella sua pienezza del diritto. Dal punto di vista del riparto di giurisdizione il privato non ha che un interesse legittimo. La cassazione civile ha individuato nel tempo criteri per distinguere l'interesse legittimo dal diritto soggettivo. Se l'amministrazione esercita un potere espropriativo, può trattarsi di cattivo esercizio del potere che può essere simmetrico all'interesse legittimo. Se non si ha il presupposto indifettibile si ha carenza di potere nell'agire, dato da carenza di attribuzioni. Per stabilire se si ha interesse o diritto bisogna vedere se si ha avuto un cattivo esercizio o un esercizio in carenza. Ulteriore criterio é fondato sulla distinzione tra norme di azione e relazione, Enrico Guicciardi negli anni 30 formulò tale distinzione. Le norme di relazione disciplinano la relazione tra amministrazione e soggetto privato stabilendo ordini a carico dell'uno e dell'altro. Norme che disciplinano l'azione dell'amministrazione rispetto all'interesse pubblico. Il privato ha rispetto ad esse un puro interesse legittimo. Tale visione é stata contestata rispetto al fatto che ogni norma sarebbe di relazione, in quanto pone un rapporto tra amministrazione e privato. Tale criterio è dunque solo raramente utilizzato. Terzo criterio è la distinzione tra atto discrezionale e atto vincolato. La differenza è che all'atto vincolato corrisponde diritto soggettivo mentre ad atto discrezionale corrisponde interesse legittimo. Si tratta di un criterio insoddisfacente in quanto tale relazione non é effettiva e possono ricorrere interessi legittimi anche in atti vincolati. I dubbi permangono ad esempio nel caso di situazione di pretesa o aspettativa di un provvedimento favorevole. Il giudice amministrativo diceva trattarsi di interesse legittimo mentre il giudice ordinario diceva trattarsi di diritto soggettivo. Molte delle situazioni controverse hanno trovato soluzione giurisprudenziale, sicché la giurisprudenza con indirizzi che si sono poi consolidati, ha stabilito che le controversie di tal tipo ricadono sotto la giurisdizione del giudice ordinario. Il problema di accertare di volta in volta se si tratti di interesse o diritto è stato alleggerito da casi sempre più numerosi di giurisdizione esclusiva e da indirizzi costanti della giurisprudenza che hanno la funzione di indirizzare.

Diritto amministrativo, cenni storici


La sottoposizione dell'amministrazione al controllo giurisdizionale è dovuta al fatto che la stessa costituzione prevede la possibilità di abusi, per quanto l'attività e i poteri amministrativi siano altrimenti controllati. Questo assicura la tutela del cittadino nei confronti dell'amministrazione. La giustizia amministrativa, per essere conosciuta, necessita di conoscere come il sistema si sia formato. Nel 1861 lo stato italiano nasce dalla formazione di più stati diversi, nel 1866 si aggiungono altri stati fino al 1870 con la presa di Roma. Si tratta di sostituire ai differenti sistemi singoli un unico sistema. I sistemi precedenti erano fondati sul contenzioso amministrativo e si esplicavano attraverso il Consiglio di Stato, Corte dei Conti, o in generale organi che si occupavano di controversie tra privati ed enti pubblici in materie determinate di volta in volta. Si poneva l'esigenza di scegliere se affidare la giustizia a un organo speciale o al giudice ordinario, come nel sistema inglese. Si contrapponevano due filoni: l'orientamento favorevole all'introduzione della giurisdizione unica del giudice ordinario e l'orientamento che prevede di regolare la disciplina attraverso un giudice apposito, con una maggiore conoscenza della materia, secondo la visione francese. Le giustificazioni del primo orientamento ricadono sotto il principio di uguaglianza: lo stato assoggettato al diritto é assoggettato alla medesima giurisdizione del cittadino. L'orientamento opposto dice che tali rapporti hanno una notevole specialità, prevedendo commistione di interessi pubblici e privati, e necessitano dunque una giurisdizione autonoma. Nel 1865 viene presa la decisione drastica circa la giustizia amministrativa. Un'unica legge ( L. 2248/1865) approva in quell'anno una serie di allegati circa i differenti aspetti dell'amministrazione. L'allegato E tratta l'abolizione del contenzioso amministrativo, prevedendo tra l'altro che tutte le controversie in cui si faccia questione di diritti civili e politici sono decisi da giurisdizione ordinaria. In particolare l’art 2 stabilisce espressamente che “sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'Autorità amministrativa”. Al di fuori di tali affari rimane la competenza dell’amministrazione, come sancito dal successivo Art. 3 : “Gli affari non compresi nell'articolo precedente saranno attribuiti alle Autorità amministrative, le quali, ammesse le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate, provvederanno con decreti motivati, previo parere dei Consigli amministrativi che pei diversi casi siano dalla legge stabiliti. Contro tali decreti che saranno scritti in calce del parere egualmente motivato, è ammesso il ricorso in via gerarchica in conformità delle leggi amministrative”. Negli affari non compresi i ricorsi saranno proponibili ad autorità amministrativa che decide con decreto. Tali affari non compresi erano nel progetto di legge gli interessi che il cittadino vanta nei confronti dell'amministrazione pubblica. Per questi interessi la tutela é data dalla stessa amministrazione. Quando la controversia verte su atti amministrativi il giudice non può revocare l'atto se non con intervento dell'amministrazione stessa. La legge si basa su una concezione rigida dello stato di diritto e allo stesso tempo di separazione dei poteri. Questo vuol dire che è necessaria una indipendenza reciproca tra giudice e amministrazione. Per questo il giudice non può intervenire sull'atto amministrativo, salvo che attraverso l'amministrazione stessa. Una volta accertata l'illegittimità dell'atto questo non potrà essere annullato in quanto non è amministratore, sarà necessario ricorso all'amministrazione che si conformerà al giudicato. Nell'ipotesi che non si conformi non vi é alcun effetto che venga disciplinato. Da tali elementi si colgono i limiti della riforma in quanto il giudice, pur con potere generale di giurisdizione, non può annullare gli atti direttamente e il giudicato stesso ha estensione limitata alle parti. Spettano alla giurisdizione ordinaria le questioni concernenti un diritto politico in cui sia comunque coinvolta l'amministrazione e un suo atto sia lesivo. Quando l'amministrazione si imbatte in un diritto e fa applicazione di una legge che le consente di andare contro tale diritto, tali situazioni creano dei conflitti che vengono risolti dal Consiglio di Stato, il quale restringe la sfera del giudice ordinario. L'atto annullabile spiega gli effetti dell'atto valido compresa la soppressione del diritto civile o politico in cui si imbatte. La sfera del giudice è ristretta e la sfera dell'amministrazione é inefficiente in quanto lo stesso organo cui si richiede la tutela è quello che ha emanato l'atto. La protezione del cittadino, che la legge abolitiva del contenzioso aveva inteso rafforzare, finisce per rivelarsi più debole di prima in quanto il giudice prima aveva possibilità di annullare l'atto e non trovava il limite degli atti di gestione. Al cittadino era lasciato il ricorso gerarchico, per cui si adiva l'organo amministrativo superiore rispetto a quello che aveva adottato l'atto. Il sistema monistico di giustizia amministrativa ebbe vita breve. Da tale lettura giurisprudenziale riprende la forza l'orientamento che chiedeva la creazione di un organo giurisdizionale apposito. Francesco Crispi con la l n. 5992/1889 1889 la IV Sezione del Consiglio di Stato, in quanto le prime tre esercitavano funzione consultiva rispetto al Re. Alla Quarta Sezione spetta di conoscere degli atti amministrativi dei quali sia stata denunciata incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere quando i ricorsi siano proposti da soggetti che abbiano interesse, persone fisiche o persone giuridiche. L'interesse contrapposto al diritto nel progetto del 1865, soppresso nella versione definitiva dell'art.3 , riemerge nella legge del 1889 per cui l'interesse che era affidato alla tutela dell'amministrazione viene ora affidato a un organo apposito dell'amministrazione, ma che gode di indipendenza e che ha potere di annullamento in caso di illegittimità. A partire dalla legge del 1889 l'assetto della giustizia amministrativa in Italia cambia, in quanto la tutela degli interessi è affidata a un organo il quale può tutelare tale interesse annullando l'atto amministrativo se viziato. Per quanto riguarda le situazioni soggettive la tutela si estende dai diritti ad interessi e per quanto riguarda la decisione la Quarta Sezione del consiglio può annullare l'atto, senza poter disporre la condanna al risarcimento dei danni prodotti. Il principio di separazione dei poteri è depotenziato ma non annullato in quanto il Consiglio di Stato fa comunque parte della pubblica amministrazione. Tale organo viene comunque inquadrato tra gli organi giudiziari, secondo decisione della cassazione susseguente, la quale ammette il ricorso a se delle decisioni. Tuttora vi sono tre sezioni consultive e tre sezioni giurisdizionali. La conseguenza dal punto di vista del sistema è che mentre fino al 1889 il sistema italiano é stato monistico, con un unico giudice ordinario, dal 1889 si ha un sistema dualistico i cui ambiti di giurisdizione si distinguono sulla base dei diritti che si fanno valere. L'interesse è legittimo quando il diniego opposto contrariamente alla normativa da il diritto all'opposizione innanzi al consiglio. Tale interesse non é dunque sottoposto all'arbitrio dell'amministrazione. Si attua per la prima volta la tripartizione tra incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge. L'incompetenza è una categoria che non ha a che fare con persone fisiche. Il giudizio di competenza è utile a proteggere il cittadino affinché siano definiti i poteri amministrativi. Eccesso di potere è un concetto meno chiaro. Si intende per esso lo straripamento di potere, che apparirebbe come un'incompetenza più grave. In realtà si parte in questa concezione dal fatto che il potere amministrativo presupponga un fine determinato. L'atto amministrativo é valutabile in base alla propria legalità ma anche rispetto al fine che attraverso esso viene perseguito. L'eccesso di potere è una deviazione dell'atto rispetto al suo fine, è uno sviamento del potere. Si usa il potere per un fine diverso da quello per cui esso è stato concesso. Tale nozione progressivamente si dilata fino a comprendere una pluralità di ipotesi allineate dalla giurisprudenza. Accanto a violazione di legge e incompetenza il cui ambito è perfettamente delimitato da un paradigma fisso, l'eccesso di potere finisce per essere una fattispecie a paradigma aperto in cui ricadono tutti i vizi altrimenti determinabili. La formula elementare inserita nella legge istitutiva della quarta sezione ha costituito uno dei canali in cui si è immessa un'enorme giurisprudenza che ha finito per formulare regole dell'azione amministrativa non altrimenti statuita. Interesse legittimo può sussistere a che il diritto non venga tolto in modo illegittimo, qui non si ha interesse a ottenere qualcosa ma a che qualcosa che ho non venga sottratto. Qui si trova la differenza tra interesse legittimo positivo e pretensivo. Tale distinzione è simmetrica a quella tra provvedimenti amministrativi restrittivi della sfera giuridica del privato e provvedimenti ampliativi, rispetto a cui vi sono interessi oppositivi e pretensivi del soggetto privato. Il sistema italiano risulta dunque fortemente sbilanciato a favore del giudice amministrativo rispetto al giudice ordinario. Il secondo ha un suo ambito piuttosto ristretto, rispetto ad esempio alla materia tributaria. Nel caso in cui un soggetto debba, in relazione ad uno stesso rapporto, far valere diversi interessi e per evitare di doversi rivolgere a due fonti di giurisdizione l'intera materia dell'impiego pubblico essa viene destinata al giudice amministrativo. Nel 1924 le diverse leggi vengono portate in un testo unico fino al 2010, anno di elaborazione del codice del processo amministrativo. In sede di costituente viene codificata la situazione preesistente, dicendosi all'art.24 Cost che ognuno può agire anche a difesa di propri interessi legittimi, oltre che per i diritti. All'art103 Cost si dice che la tutela dell'interesse legittimo e, in particolari casi, dei diritti personali spetta alla giustizia amministrativa. All'art.113 Cost si dice che non possono introdursi limitazioni a mezzi di tutela. Il sistema viene costituzionalizzato con la differenza tra interessi tutelati dalla giustizia amministrativa e diritti principalmente al giudice ordinario. Nel 1890 con la legge 6837 viene istituito un organo presso ogni prefettura a livello provinciale: la Giunta Provinciale Amministrativa, con giurisdizione su interessi locali e le cui determinazioni sono suscettibili di appello dinanzi la IV Sezione del Consiglio di stato. La materia fu in seguito disciplinata dal r.d. 1058/1924. La costituzione cristallizza il principio del doppio grado di giurisdizione con la sostituzione dei tribunali provinciali con quelli regionali. Le giunte provinciali continueranno ad operare fino al 1966, quando la corte costituzionale ( Sent 30/1967) dichiarò l'illegittimità costituzionale di tale organo in quanto manchevoli di sufficiente indipendenza. Nel 1971 vengono istituiti i TAR, che a differenza delle soppresse giunte hanno competenza generale rispetto agli interessi, limitata solo territorialmente. Il giudice d'appello è unico, il consiglio di stato, con le sue tre sezioni. Leggi ulteriori tra 1998 e 2000 amplia la legislazione esclusiva oltre che ai dipendenti pubblici anche ai servizi pubblici, l'edilizia ecc. Coesistono una serie di norme emanate nel corso di un processo che comincia dal 1865 e continua in numerose tappe, ponendo problemi di coordinamento tra le stesse. L'impianto della giurisdizione ordinaria rimane vigente tuttora, con le interpretazioni e mutilazioni derivanti dalla giurisprudenza e dal legislatore. Nel 1889 viene previsto il ricorso per esecuzione del giudicato civile nei confronti della pubblica amministrazione, in seguito con sentenza che interverrà brevemente si allarga l'ambito al giudicato amministrativo. La legge determina il giudice a cui attribuire la valutazione sull'atto. Questo comporta la possibilità che il giudice ordinario possa annullare l'atto dell'amministrazione, come codificato dall'art.113cost. 12/10/2012 L'interesse legittimo si ambienta quasi esclusivamente nel diritto italiano, essendo altrove prevista solo dalla costituzione spagnola ma con scarso rilievo. Qualcuno ha tratto la conclusione che si tratterebbe di una formula verbale volta a giustificare una doppia giurisdizione, delimitando l'ambito del giudice ordinario e amministrativo. Si tratta di una nozione agganciata a una previsione sommaria della legge istitutiva della quarta sezione, costituzionalizzata nel 1948. è un dato strutturale del nostro ordinamento la presenza di interessi legittimi, come anche la possibilità di ottenere la tutela giurisdizionale presso il giudice amministrativo. La formula originaria dell'art.& della legge istitutiva del 1889 ha subito modificazioni nel 1924, nella legge istitutiva dei TAR e oggi nella legge del 2010 che ha codificato il processo amministrativo. La formula originaria “un interesse di un individuo o ente morale” era suscettibile di interpretazione da parte della giurisprudenza. L'interesse a ricorrere, forma il contenuto del diritto soggettivo di cui si chiede tutela al giudice. Il soggetto abilitato a ricorrere lo fa a tutela del suo interesse ai fini dell'annullamento dell'atto impugnato; Il giudice amministrativo, secondo la dottrina del tempo, restaurava la legittimità violata per cui il processo diventa uno strumento per l'assicurazione dell'interesse pubblico in funzione del quale sono preordinate le leggi amministrative. Rispetto a tale interesse della parte, l'interesse legittimo sussisterebbe come strumento e da qui l'idea che l'interesse legittimo viene tutelato in quanto coincide con l'interesse pubblico assicurato dal giudice annullando l'atto amministrativo viziato. Tale idea della dottrina, per cui il soggetto aveva una posizione subordinata all'interesse pubblico, contrasta con l'idea dei processualisti del XX secolo i quali vedono la giurisdizione come strumento per la tutela del soggetto, quale che sia la controparte. Tale idea della natura soggettiva costituisce la premessa per la configurazione definitiva che l'interesse legittimo ha nella costituzione. L'interesse non é più strumento per la tutela dell'interesse pubblico, nella fase del giudizio il giudice è chiamato a verificare l'esistenza della situazione soggettiva di cui il titolare denuncia la violazione. Cambia cosi la prospettiva e l'interesse legittimo non é più soltanto una situazione che si faccia valere nel giudizio, in quanto l'art.24 presuppone che l'interesse legittimo preesista al processo. I profili sostanziali sono difficilmente individuabili, mentre il diritto soggettivo assoluto è valevole erga omnes e i quelli di credito hanno una controparte nel debitore, gli interessi legittimi hanno come controparte una pubblica amministrazione. Il rapporto con tale soggetto ha una rilevanza anche prima del processo, soprattutto a causa dell'introduzione della legge sul procedimento amministrativo. Questa formalizza il potere del soggetto privato di avviare procedimenti avviati all'adozione di un provvedimento per il soggetto privato. L'interesse legittimo assume qui una posizione diversa rispetto a quella originaria: esso implica poteri di intervento sulla amministrazione che precedono l'adozione del procedimento conclusivo e si collocano o a monte del procedimento o si situano all'interno del procedimento e che sono poteri di intervento dati dalla legge sul procedimento amministrativo. Il procedimento nasce da un'esigenza materiale per cui la legge che conferisce un potere all'amministrazione, lo fa in vista di un interesse pubblico. Conferisce tale potere ad un'autorità, prevede un potere l'esercizio del quale presuppone un minimo di istruttoria. Il potere amministrativo é conferito in vista di una interesse che di per se implica che tale potere non si esaurisca nell'adozione di un provvedimento ma presupponga un'attività a monte, necessaria e necessitante. Si tratta di un vincolo di natura costituzionale, posto dall'art.97cost, secondo cui gli uffici devono assicurare il buon andamento e l'imparzialità. L'amministrazione é un soggetto che ha a che fare con parti, entità fondamentali del processo. L'interesse legittimo non è una posizione che sorge nel momento della lesione, oggi esso preesiste all'atto che lo lede in quanto la sua esistenza coincide con l'avvio del procedimento che porta al provvedimento amministrativo lesivo. L'interesse ad agire è un interesse esercitato ai fini della tutela di un interesse materiale che la giurisprudenza qualifica come bene della vita. Nel corso dei decenni vi è stato un notevole allargamento dell'area degli interessi legittimi: un soggetto può ora agire per la tutela di una interesse all'ambiante, cosa inimmaginabile prima degli anni '70. Il diritto soggettivo ha una sua tipicità, si tratta di schemi formati nel corso dei secoli, l'interesse legittimo invece non si presta alla qualificazione e necessita sempre un rapporto con la pubblica amministrazione. La giurisprudenza è riuscita comunque a dilatare tale concetto ed esso é divenuto uno strumento di allargamento della protezione giuridica notevole. Questo risulta dal confronto con ordinamenti stranieri.