1.LA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1985 E LA SALVEZZA DEI DIRITTI DEI LEGITTIMARI. UNA RECENTE APPLICAZIONE GIURISPRUDENZIALE
La Convenzione dell'Aja fa espressamente salvi i limiti della legge nazionale in materia di testamento e di devoluzione dei beni ereditari, con specifica attenzione ai diritti dei legittimari.
Una disposizione testamentaria istitutiva di un trust è soggetta all'azione di riduzione ex art.558c.c. in caso di lesione della quota di legittima. Ugualmente è soggetta a riduzione la costituzione di un trust per atto tra vivi lesivo della legittima nel caso in cui si tratti di donazione indiretta.
Dunque un trust inter vivos o mortis causa lesivo della legittima non è nullo per contrarietà all'ordine pubblico, ma è semplicemente riducibile a domanda dei legittimari nella misura in cui sia necessario per la reintegrazione della quota di riserva.
Una sentenza del tribunale di Lucca del 1997 costituisce il punto di arrivo di una lenta evoluzione che ha portato a un radicale mutamento di prospettiva della giurisprudenza nei confronti dei trusts costituiti nei paesi di common law, dal momento in cui ritiene ammissibili ma soggette a riduzione le disposizioni testamentarie redatte all'estero che istituiscono un trust di ultima volontà in violazione delle norme sulla successione necessaria. Nel caso di specie un cittadino italiano naturalizzato americano aveva disposto dell'intero patrimonio a favore di un fiduciario il quale avrebbe dovuto amministrarlo a sua assoluta e insindacabile discrezione per tutta la durata della vita dell'unica figlia del de cuius e fino al compimento del 25esimo anno di età da parte dell'ultimo dei figli di quest'ultima; in tale momento ciò che sarebbe rimasto del patrimonio del de cuius avrebbe dovuto essere diviso in parti uguali tra i nipoti ancora viventi. Fino a quel momento alla figlia e ai nipoti andava corrisposta una rendita a titolo di sostegno e mantenimento.
Il tribunale di Lucca ne ha ammesso la compatibilità con i principi generali dell'ordinamento italiano, in quanto la violazione dei diritti dei legittimari non comporta la nullità del testamento neanche limitatamente alle disposizioni lesive della legittima, stante la possibilità di applicare le disposizioni del diritto interno strumentali alla reintegrazione della quota di riserva dei legittimari secondo quanto previsto dall'art.15 della convenzione di l'Aja.
3.LE DIFFICOLTA' DELL'AZIONE DI RIDUZIONE . LA LEGITTIMAZIONE PASSIVA DEL DESTINATARIO FINALE
L'art.15 della convenzione de l'Aja risolve a livello di principio il problema del raccordo del riconoscimento degli effetti dei trusts costituiti nei paesi di common law con la tutela dei legittimari.
Il trust testamentario deve rispettare le norme sulla legittima e non può essere utilizzato per diseredare un figlio o il coniuge. Per quanto riguarda il trust per atto tra vivi la corte di cassazione francese stabilisce che si tratta di una donazione indiretta e dunque l'attribuzione di un bene al trustee è riducibile in caso di lesione della legittima. Tale ricostruzione del trust come liberalità atipica sarebbe in contrasto con il favore della convenzione. La ricostruzione del trust secondo modelli di civil law sarebbe destinato all'insuccesso.
Per quanto riguarda i rapporti con l'ordinamento italiano vi sono diversi punti da affrontare. Il primo punto riguarda il soggetto legittimato passivamente all'azione di riduzione. Se si qualifica il trust per atto tra vivi come liberalità atipica, l'azione di riduzione dovrebbe essere esercitata direttamente nei confronti del trustee, ma tale soluzione urta con il fatto che il destinatario finale è un soggetto diverso da esso. Inoltre se il beneficiario finale del trust è un legittimario egli non sarebbe tenuto all'imputazione dei beni, in quanto sul piano formale figurerebbe quale donatario il trustee. Inoltre il legittimario leso non avrebbe alcuna azione nei confronti del destinatario finale del trust in quanto egli non può essere considerato alla stregua del donatario.
A seguito di queste difficoltà si è prospettato un ripensamento del rapporto tra i trusts liberali e la disciplina della tutela dei legittimari. La soluzione del problema non può essere trovata applicando formalisticamente i principi del diritto successorio.
Anche nel trust si deve riconoscere la possibilità di agire direttamente contro il beneficiario, soggetto al quale l'attribuzione è effettivamente destinata. La destinazione finale è già fotografata nell'assetto di interessi ipotizzato dal settlor al momento dell'istituzione del trust. Il legittimario leso o pretermesso deve poter agire direttamente contro il beneficiario del trust. È da chiedersi contro chi debba essere diretta l'azione di riduzione quando il bene non sia stato ancora assegnato al beneficiario, in tal caso il soggetto passivo dell'azione di riduzione andrebbe ricercato nella persona del trustee.
3.L'ARRICCHIMENTO DEL DESTINATARIO FINALE. MODALITA' OPERATIVE DELLA RIDUZIONE DEL TRUST
Un secondo e duplice ordine di problemi riguarda il soggetto nei cui confronti si debba valutare l'arricchimento che consegue al trust, nonché quali siano le modalità operative dell'azione di riduzione. L'arricchimento deve essere valutato nei confronti del beneficiario finale e non del trustee. Il problema della sua legittimazione passiva va risolto sul piano della prevalenza del criterio giuridico economico rispetto a quello giuridico formale.
Un ulteriore problema attiene alla posizione del trust inter vivos soggetto a riduzione nell'ordine delle donazioni riducibili ex art. 559c.c. è necessario valutare da che momento si debba considerare avvenuta l'attribuzione patrimoniale per mezzo del trust. Se il settlor si è riservato la revoca la donazione si deve considerare effettuata nel momento della morte dello stesso soggetto. In ogni altra ipotesi il momento da considerare ai fini dell'art.559c.c. sarà quello dell'istituzione del trust.
4.IL CONFERIMENTO IN TRUST DELLA QUOTA DI LEGITTIMA. IL TRUST DISCREZIONALE E LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA DEI POTENZIALI BENEFICIARI
Un ulteriore problema riguarda l'ipotesi di costituzione in trust della quota di legittima. In questa ipotesi al legittimario non spetta alcun potere di natura reale sui beni che costituiscono la quota di legittima. Si tratta di vedere se sia stato violato il principio dell'intangibilità della quota di legittima che vieta al testatore di imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari.
Con il trust il legittimario assume una posizione sostanziale di un legatario delle rendite dei beni costituenti la quota di legittima, motivo per cui appare difficile non riconoscergli l'azione di riduzione, sempre che il legittimario non abbia l'opzione tra il conseguimento delle rendite e la rinuncia alle stesse al fine di chiedere la legittima.
Ulteriore difficoltà presenta la tutela dei legittimari quando si tratta di un trust discrezionale, dove il trustee ha il potere di designare i beneficiari o di determinare l'entità delle quote.
Prima di tutto bisogna verificare che tal tipo di trust non contrasti con il principio del nostro ordinamento che vieta le disposizioni testamentarie e le donazioni rimesse all'arbitrio altrui. Risulta necessario che i beneficiari vanno scelti tra un gruppo di persone indicate dal settlor.
Dunque il trustee non ha potere di designare i beneficiari o determinare le quote al di fuori delle ipotesi consentite dagli artt.631 e 778c.c.
Si è suggerito di riconoscere inoltre anche a qualunque potenziale beneficiario di un trust discrezionale, il diritto di agire per la reintegrazione della quota di legittima, ricostruendo il trust discrezionale alla stregua di un atto di liberalità.
sabato 12 marzo 2011
I DIRITTI DEI LEGITTIMARI. L'AZIONE DI RIDUZIONE E IL TRUST
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L'ESCLUSIONE DALLA VOCAZIONE EREDITARIA. L'INDEGNITA' A SUCCEDERE
1.IL PROBLEMA DELLA NATURA E DEL MODO DI OPERARE DELL'INDEGNITA'
La disciplina dell'indegnità di succedere aveva creato nel codice del 1865 non poche perplessità di cui si avvertì l'eco nei lavori preparatori del nuovo codice civile del 1942 dove, nella relazione al libro delle successioni e donazioni si precisava che l'indegnità non determinava una vera e propria incapacità ma rappresentava una causa di esclusione operativa in virtù di una sentenza del giudice.
Tuttavia di fronte ai nuovi artt.463-466c.c. si è continuato a discutere all'incirca negli stessi termini.
Una parte della dottrina si chiede tuttora se l'indegno non sia per caso un incapace, magari relativo, per cui l'indegnità si tradurrebbe in un pena privata per taluni comportamenti nei confronti di dati soggetti o lesivi della libertà testamentaria o della volontà espressa del testatore.
La diversa sistemazione della materia comporta conseguenze pratiche assai rilevanti: se si ritiene che l'indegno sia un incapace di succedere si deve anche ammettere che l'indegnità opera automaticamente. Se invece servisse l'intervento del giudice significherebbe che l'indegno acquista legittimamente, ma poi il suo acquisto viene caducato retroattivamente per effetto di una sentenza costitutiva.
2.L'INDEGNITA' E LE SANZIONI DI DIRITTO PRIVATO. IL SISTEMA DEGLI ARTT.463-466C.C. L'AUTONOMA COLLOCAZIONE DELLA MATERIA E LA RIMODULAZIONE DELLA DISCIPLINA DELLA RIABILITAZIONE DELL'INDEGNO. IL SENSO DELLA RESTITUZIONE DEI FRUTTI E DELLA RIABILITAZIONE DELL'INDEGNO
Per risolvere il problema è necessaria una rimeditazione della funzione dell'indegnità nella vicenda successoria. Porre l'esclusione dall'eredità o dal legato alla stregua di una sanzione a carico dell'indegno non si presenta incompatibile con il sistema degli artt.463-466, per di più il carattere sanzionatorio troverebbe una conferma proprio nel fatto che l''esclusione dall'eredità non si estende ai suoi discendenti i quali godono del diritto di rappresentazione. In terzo luogo la pena sarebbe di diritto privato, in quanto il de cuius può rimuoverne in tutto o in parte le conseguenze. Tuttavia tale ricostruzione non chiarisce il problema del modo di operare dell'indegnità. Oltre alle difficoltà di ricostruire una nozione unitaria di pena privata, il problema si sposta quando bisogna stabilire se l'indegnità sia una pena legale o giudiziale, anche a causa dell'espressione neutra dell'art.463 che non cita l'intervento del giudice o l'automatica operatività. Se si intendeva rendere operante l'indegnità solo a seguito di una sentenza costitutiva lo si sarebbe dovuto dire chiaramente, tanto più che l'art.802 esplicita l'esigenza del ricorso al giudice a proposito della revoca della donazione per ingratitudine.
L'elemento più appariscente a favore della tesi che l'indegno non è un incapace rimane quello che si può desumere dalla differente collocazione della materia rispetto al codice del 1865, dove l'indegnità non sembrava avere autonomia a livello di sistema. Nel testo dell'attuale art.463c.c. scompare ogni riferimento all'incapacità di succedere operandosi anche una separazione formale.
Il problema sorge quando ci si accorge che la nuova formulazione altro non sarebbe che un mero aggiustamento tecnico. Il legislatore del 1942 ha modificato il regime di riabilitazione, ritenuto eccessivamente rigoroso dalla dottrina successiva al codice del 1865, introducendo la riabilitazione parziale, tacita o indiretta.
La mancanza di ogni riferimento all'incapacità di succedere non è di per sé un elemento decisivo a favore della tesi che ritiene necessario il ricorso al giudice. Sono necessari ulteriori elementi precisi e concordanti, difficili da ricercare nel sistema degli artt.463-466c.c. L'unica spiegazione razionale dell'art.364 è quella che la legge considera l'indegno alle stregua di un possessore di mala fede, per avere con il suo comportamento dato causa all'indegnità. Non minori problemi presenta l'art.466 dove si parla di “ammissione a succedere”, come se senza la riabilitazione l'indegno non avrebbe avuto nemmeno il diritto di accettare l'eredità. Per converso la disponibilità dell'interesse a far valere l'esclusione fa ritenere più plausibile un intervento del giudice per stabilirla, senza che essa operi ope legis.
Di fronte ad una normativa poco chiara, le soluzioni diverse diventano una scelta irrazionale rimessa agli umori e ai convinciamenti personali.
3.LE SINGOLE CAUSE DI INDEGNITA':SISTEMA E PRINCIPALI INNOVAZIONI DELL'ART.463. IL PROBLEMA DEL RAPPORTO TRA INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA E INDEGNITA'
L'art.463c.c. regola le singole cause di indegnità in modo più articolato rispetto al codice del 1865, pur rimanendo la tassatività dei casi e la ripartizione delle cause di indegnità in due gruppi a seconda che si tratti di attentati alla personalità fisica o morale oppure alla libertà di testare del de cuius.
Per quanto riguarda i comportamenti che si sostanzino in un attentato alla libertà testamentaria del de cuius, è stata prevista quale nuova e doppia causa di indegnità l'ipotesi di formazione o di uso consapevole di un testamento falso. E' stato compreso il dolo accanto alla violenza nel novero degli atti dell'indegno contro la libertà di testare del de cuius, in modo da allineare la disciplina all'art.624c.c. che consente a chiunque abbia interesse di impugnare il testamento.
Per quanto riguarda i comportamenti che si sostanzino in attentato alla personalità fisica o morale del de cuius, alle ipotesi tradizionali di omicidio volontario consumato o tentato e di calunnia sono state aggiunte la falsa testimonianza in giudizio penale e la generica previsione dell'aver commesso un fatto al quale la legge penale dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio. L'omicidio volontario costituisce causa di indegnità purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale. I comportamenti sono rilevanti inoltre anche se commessi a danno del coniuge o dei discendenti o ascendenti del de cuius.
Negli anni ottanta ci si chiedeva se la natura tassativa delle cause di indegnità non fosse di ostacolo a ricondurre sotto la previsione dell'omicidio tentato o commesso l'ipotesi di interruzione volontaria della gravidanza, ogni qual volta essa fosse compiuta al di fuori delle garanzie previste dalla L.n.194/1978. l'interruzione di gravidanza al di fuori delle garanzie suddette comporta un'effettiva, indegnità della donna nei confronti del padre del nascituro o degli eventuali altri ascendenti, in aggiunta alla sanzioni penali previste.
Per quanto si potrebbe comunque annoverare tale ipotesi tra i comportamenti dell'indegno che costituiscono attentato alla personalità anche morale del de cuius.
La disciplina dell'indegnità è richiamata anche quale causa di revoca dell'adozione per fatto imputabile all'adottato o all'adottante e anche in ordine alla revoca della donazione per ingratitudine.
4.IL PROBLEMA DELL'ACCERTAMENTO GIUDIZIALE DELLE CAUSE DI INDEGNITA'
L'art.463c.c non stabilisce se i fatti che danno luogo all'esclusione dalla successione debbano essere preventivamente accertati dal giudice. Questo riscontro è invece esplicitato nelle ipotesi sub n.3 per quanto concerne una sentenza che dichiari la calunnia o la falsa testimonianza in processo penale, dove la maggioranza degli interpreti nega che basti la semplice partecipazione dell'indegno al giudizio penale instauratosi nei confronti del de cuius.
Tuttavia negli altri casi non vi è alcun accenno alla necessarietà di un accertamento giudiziale dei fatti. Ma se per ragioni di omogeneità si ritenesse necessario un accertamento giudiziale, sarebbe poi superfluo pretendere una seconda pronuncia per l'esclusione dalla successione. A conciliare le due testi opposte si è detto che l'esclusione dalla successione sarebbe automatica una volta accertato in giudizio il fatto che dà causa all'indegnità. Cosicché una successiva sentenza che dichiari l'esclusione dall'eredità avrebbe valore dichiarativo e l'azione per il recupero dei beni diventerebbe imprescrittibile.
Se si ritiene che l'esclusione dalla successione avvenga ipso iure solo una volta accertata ope iudicis la causa di indegnità si finisce inevitabilmente per allineare l'indegnità alla perdita dei diritti successori verso la persona offesa di cui all'abrogato art.541,2'comma c.p. Tuttavia le ipotesi sembrano essere diverse in quanto nelle ipotesi previste dal codice penale manca la disponibilità dell'interesse, sicché non è ammesso il perdono del de cuius. Alla luce del nuovo codice di procedura penale è da rivedere anche la tesi che stabilisce la normale competenza del giudice penale ad accertare le cause di indegnità. Con la scomparsa della pregiudiziale penale non si può più negare al giudice civile una propria autonoma competenza ad accertare le cause di indegnità.
La questione del rapporto tra giudizio penale e civile ha perduto ulteriormente importanza dopo la novella del processo civile in quanto il sistema processuale si articola oggi sul principio di autonomia dei due giudizi.
Il raccordo tra giudizio penale e civile determinava anche la coincidenza del termine di prescrizione dell'azione di indegnità con quello stabilito per il reato.
5.ANCORA SUL MODO DI OPERARE L'INDEGNITA'. IL SIGNIFICATO DELLA SUCCESSIONE PER RAPPRESENTAZIONE DEI DISCENDENTI DELL'INDEGNO
Il problema del modo di operare dell'indegnità sembra destinato a rimanere insolubile, ma forse ciò è la conseguenza del fatto che si è sempre cercata la soluzione unicamente all'interno del sistema degli artt.463-466 trascurando la disciplina della successione per rappresentazione. Essendo l'indegno completamente escluso dalla successione, l'indegnità va collocata sullo stesso piano della premorienza o dell'assenza poiché l'indegno è un soggetto che non può accettare l'eredità o il legato.
Per affermare il contrario bisognerebbe dimostrare che l'indegnità esclude anche la successione per rappresentazione, ma tale soluzione non è suffragata da alcun elemento testuale o sistematico.
Ammettendo dunque la successione per rappresentazione a favore dei discendenti dell'indegno appare un controsenso ancorare la vocazione degli stessi all'esclusione ope iudicis del loro ascendente. Una conferma di tale tesi sembra trovarsi nel fatto che gli acquisti fatti dai terzi dall'indegno siano equiparabili a quelli fatti dall'erede apparente. Se l'indegno è equiparato all'erede apparente significa che egli non ha acquistato alcun diritto sui beni ereditari, avendo al più esercitato un mero potere di fatto. Se si ritiene che l'esclusione dalla successione sia automatica, si deve convenire che l'indegnità finisce per avvicinarsi sul piano operativo all'incapacità di succedere.
Ciò non significa affatto che l'indegnità sia una sorta di incapacità di succedere, stanti le differenze concettuali tra i due istituti.
La disciplina dell'indegnità di succedere aveva creato nel codice del 1865 non poche perplessità di cui si avvertì l'eco nei lavori preparatori del nuovo codice civile del 1942 dove, nella relazione al libro delle successioni e donazioni si precisava che l'indegnità non determinava una vera e propria incapacità ma rappresentava una causa di esclusione operativa in virtù di una sentenza del giudice.
Tuttavia di fronte ai nuovi artt.463-466c.c. si è continuato a discutere all'incirca negli stessi termini.
Una parte della dottrina si chiede tuttora se l'indegno non sia per caso un incapace, magari relativo, per cui l'indegnità si tradurrebbe in un pena privata per taluni comportamenti nei confronti di dati soggetti o lesivi della libertà testamentaria o della volontà espressa del testatore.
La diversa sistemazione della materia comporta conseguenze pratiche assai rilevanti: se si ritiene che l'indegno sia un incapace di succedere si deve anche ammettere che l'indegnità opera automaticamente. Se invece servisse l'intervento del giudice significherebbe che l'indegno acquista legittimamente, ma poi il suo acquisto viene caducato retroattivamente per effetto di una sentenza costitutiva.
2.L'INDEGNITA' E LE SANZIONI DI DIRITTO PRIVATO. IL SISTEMA DEGLI ARTT.463-466C.C. L'AUTONOMA COLLOCAZIONE DELLA MATERIA E LA RIMODULAZIONE DELLA DISCIPLINA DELLA RIABILITAZIONE DELL'INDEGNO. IL SENSO DELLA RESTITUZIONE DEI FRUTTI E DELLA RIABILITAZIONE DELL'INDEGNO
Per risolvere il problema è necessaria una rimeditazione della funzione dell'indegnità nella vicenda successoria. Porre l'esclusione dall'eredità o dal legato alla stregua di una sanzione a carico dell'indegno non si presenta incompatibile con il sistema degli artt.463-466, per di più il carattere sanzionatorio troverebbe una conferma proprio nel fatto che l''esclusione dall'eredità non si estende ai suoi discendenti i quali godono del diritto di rappresentazione. In terzo luogo la pena sarebbe di diritto privato, in quanto il de cuius può rimuoverne in tutto o in parte le conseguenze. Tuttavia tale ricostruzione non chiarisce il problema del modo di operare dell'indegnità. Oltre alle difficoltà di ricostruire una nozione unitaria di pena privata, il problema si sposta quando bisogna stabilire se l'indegnità sia una pena legale o giudiziale, anche a causa dell'espressione neutra dell'art.463 che non cita l'intervento del giudice o l'automatica operatività. Se si intendeva rendere operante l'indegnità solo a seguito di una sentenza costitutiva lo si sarebbe dovuto dire chiaramente, tanto più che l'art.802 esplicita l'esigenza del ricorso al giudice a proposito della revoca della donazione per ingratitudine.
L'elemento più appariscente a favore della tesi che l'indegno non è un incapace rimane quello che si può desumere dalla differente collocazione della materia rispetto al codice del 1865, dove l'indegnità non sembrava avere autonomia a livello di sistema. Nel testo dell'attuale art.463c.c. scompare ogni riferimento all'incapacità di succedere operandosi anche una separazione formale.
Il problema sorge quando ci si accorge che la nuova formulazione altro non sarebbe che un mero aggiustamento tecnico. Il legislatore del 1942 ha modificato il regime di riabilitazione, ritenuto eccessivamente rigoroso dalla dottrina successiva al codice del 1865, introducendo la riabilitazione parziale, tacita o indiretta.
La mancanza di ogni riferimento all'incapacità di succedere non è di per sé un elemento decisivo a favore della tesi che ritiene necessario il ricorso al giudice. Sono necessari ulteriori elementi precisi e concordanti, difficili da ricercare nel sistema degli artt.463-466c.c. L'unica spiegazione razionale dell'art.364 è quella che la legge considera l'indegno alle stregua di un possessore di mala fede, per avere con il suo comportamento dato causa all'indegnità. Non minori problemi presenta l'art.466 dove si parla di “ammissione a succedere”, come se senza la riabilitazione l'indegno non avrebbe avuto nemmeno il diritto di accettare l'eredità. Per converso la disponibilità dell'interesse a far valere l'esclusione fa ritenere più plausibile un intervento del giudice per stabilirla, senza che essa operi ope legis.
Di fronte ad una normativa poco chiara, le soluzioni diverse diventano una scelta irrazionale rimessa agli umori e ai convinciamenti personali.
3.LE SINGOLE CAUSE DI INDEGNITA':SISTEMA E PRINCIPALI INNOVAZIONI DELL'ART.463. IL PROBLEMA DEL RAPPORTO TRA INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA E INDEGNITA'
L'art.463c.c. regola le singole cause di indegnità in modo più articolato rispetto al codice del 1865, pur rimanendo la tassatività dei casi e la ripartizione delle cause di indegnità in due gruppi a seconda che si tratti di attentati alla personalità fisica o morale oppure alla libertà di testare del de cuius.
Per quanto riguarda i comportamenti che si sostanzino in un attentato alla libertà testamentaria del de cuius, è stata prevista quale nuova e doppia causa di indegnità l'ipotesi di formazione o di uso consapevole di un testamento falso. E' stato compreso il dolo accanto alla violenza nel novero degli atti dell'indegno contro la libertà di testare del de cuius, in modo da allineare la disciplina all'art.624c.c. che consente a chiunque abbia interesse di impugnare il testamento.
Per quanto riguarda i comportamenti che si sostanzino in attentato alla personalità fisica o morale del de cuius, alle ipotesi tradizionali di omicidio volontario consumato o tentato e di calunnia sono state aggiunte la falsa testimonianza in giudizio penale e la generica previsione dell'aver commesso un fatto al quale la legge penale dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio. L'omicidio volontario costituisce causa di indegnità purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale. I comportamenti sono rilevanti inoltre anche se commessi a danno del coniuge o dei discendenti o ascendenti del de cuius.
Negli anni ottanta ci si chiedeva se la natura tassativa delle cause di indegnità non fosse di ostacolo a ricondurre sotto la previsione dell'omicidio tentato o commesso l'ipotesi di interruzione volontaria della gravidanza, ogni qual volta essa fosse compiuta al di fuori delle garanzie previste dalla L.n.194/1978. l'interruzione di gravidanza al di fuori delle garanzie suddette comporta un'effettiva, indegnità della donna nei confronti del padre del nascituro o degli eventuali altri ascendenti, in aggiunta alla sanzioni penali previste.
Per quanto si potrebbe comunque annoverare tale ipotesi tra i comportamenti dell'indegno che costituiscono attentato alla personalità anche morale del de cuius.
La disciplina dell'indegnità è richiamata anche quale causa di revoca dell'adozione per fatto imputabile all'adottato o all'adottante e anche in ordine alla revoca della donazione per ingratitudine.
4.IL PROBLEMA DELL'ACCERTAMENTO GIUDIZIALE DELLE CAUSE DI INDEGNITA'
L'art.463c.c non stabilisce se i fatti che danno luogo all'esclusione dalla successione debbano essere preventivamente accertati dal giudice. Questo riscontro è invece esplicitato nelle ipotesi sub n.3 per quanto concerne una sentenza che dichiari la calunnia o la falsa testimonianza in processo penale, dove la maggioranza degli interpreti nega che basti la semplice partecipazione dell'indegno al giudizio penale instauratosi nei confronti del de cuius.
Tuttavia negli altri casi non vi è alcun accenno alla necessarietà di un accertamento giudiziale dei fatti. Ma se per ragioni di omogeneità si ritenesse necessario un accertamento giudiziale, sarebbe poi superfluo pretendere una seconda pronuncia per l'esclusione dalla successione. A conciliare le due testi opposte si è detto che l'esclusione dalla successione sarebbe automatica una volta accertato in giudizio il fatto che dà causa all'indegnità. Cosicché una successiva sentenza che dichiari l'esclusione dall'eredità avrebbe valore dichiarativo e l'azione per il recupero dei beni diventerebbe imprescrittibile.
Se si ritiene che l'esclusione dalla successione avvenga ipso iure solo una volta accertata ope iudicis la causa di indegnità si finisce inevitabilmente per allineare l'indegnità alla perdita dei diritti successori verso la persona offesa di cui all'abrogato art.541,2'comma c.p. Tuttavia le ipotesi sembrano essere diverse in quanto nelle ipotesi previste dal codice penale manca la disponibilità dell'interesse, sicché non è ammesso il perdono del de cuius. Alla luce del nuovo codice di procedura penale è da rivedere anche la tesi che stabilisce la normale competenza del giudice penale ad accertare le cause di indegnità. Con la scomparsa della pregiudiziale penale non si può più negare al giudice civile una propria autonoma competenza ad accertare le cause di indegnità.
La questione del rapporto tra giudizio penale e civile ha perduto ulteriormente importanza dopo la novella del processo civile in quanto il sistema processuale si articola oggi sul principio di autonomia dei due giudizi.
Il raccordo tra giudizio penale e civile determinava anche la coincidenza del termine di prescrizione dell'azione di indegnità con quello stabilito per il reato.
5.ANCORA SUL MODO DI OPERARE L'INDEGNITA'. IL SIGNIFICATO DELLA SUCCESSIONE PER RAPPRESENTAZIONE DEI DISCENDENTI DELL'INDEGNO
Il problema del modo di operare dell'indegnità sembra destinato a rimanere insolubile, ma forse ciò è la conseguenza del fatto che si è sempre cercata la soluzione unicamente all'interno del sistema degli artt.463-466 trascurando la disciplina della successione per rappresentazione. Essendo l'indegno completamente escluso dalla successione, l'indegnità va collocata sullo stesso piano della premorienza o dell'assenza poiché l'indegno è un soggetto che non può accettare l'eredità o il legato.
Per affermare il contrario bisognerebbe dimostrare che l'indegnità esclude anche la successione per rappresentazione, ma tale soluzione non è suffragata da alcun elemento testuale o sistematico.
Ammettendo dunque la successione per rappresentazione a favore dei discendenti dell'indegno appare un controsenso ancorare la vocazione degli stessi all'esclusione ope iudicis del loro ascendente. Una conferma di tale tesi sembra trovarsi nel fatto che gli acquisti fatti dai terzi dall'indegno siano equiparabili a quelli fatti dall'erede apparente. Se l'indegno è equiparato all'erede apparente significa che egli non ha acquistato alcun diritto sui beni ereditari, avendo al più esercitato un mero potere di fatto. Se si ritiene che l'esclusione dalla successione sia automatica, si deve convenire che l'indegnità finisce per avvicinarsi sul piano operativo all'incapacità di succedere.
Ciò non significa affatto che l'indegnità sia una sorta di incapacità di succedere, stanti le differenze concettuali tra i due istituti.
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FONTI DELLA VOCAZIONE EREDITARIA.DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI E LE ALTERNATIVE CONVENZIONALI AL TESTAMENTO. IL TRUST.
1.IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI E LE SOLUZIONI NEGOZIALI ALTERNATIVE AL TESTAMENTO. LE SOLUZIONI INTERNE E IL TRUST.
L'art.458 pone il divieto di compiere patti successori, sulla base di una tradizione romanistica accolta in modo acritico. La dottrina sta rivedendo tale dogma che esclude ogni altra fonte rispetto al testamento. E' avvenuto di recente il riconoscimento legislativo degli effetti dei trusts costituiti nei paesi di common law attraverso la ratifica e l'esecuzione del 1989 della convenzione adottata a l'Aja nel 1985.
Diventa più evidente così nel nostro ordinamento il problema di soluzioni negoziali alternative al testamento. Primo caso: trust for sale alla fine del XIX secolo gli viene data soluzione negativa dalla corte d'appello di Cagliari. Secondo caso: nel 1909 la corte di cassazione di Napoli valuta come amministrazione a scopo di conservazione del patrimonio nell'interesse dei successivi chiamati a godere un trust che disponeva un legato periodico. Secondo Carlo Manenti, sempre nel 1909, il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzi si concretizzava in un disposizione di ultima volontà alternativa alle forme tipiche di testamento previste in quanto l'acquisto del terzo si concretizzava solo alla morte dell'assicurato e fino a quel momento l'assicurato aveva potere di revoca. La tesi rimane isolata nella dottrina dell'epoca che la ritiene viziata per una sovrapposizione di causa e termine essendo la morte soltanto il momento di consolidazione di un contratto già perfezionatosi nel contratto di assicurazione.
La tesi di Manenti è stata riscoperta dopo circa mezzo secolo dal tribunale di Catania circa l'emissione di un libretto di deposito nominativo a favore di un terzo con la riserva di prelevare le somme residue solo dopo la morte del depositante. La sentenza stabilisce l'obbligo per la banca di dare le somme al terzo e l'annotatore della sentenza ritiene che si tratti di contratto a favore di un terzo per perseguire una finalità tipica di atti mortis causa con conseguente nullità del deposito per difetto di forma ad substantiam.
Tale fattispecie era analoga a quella esaminata dalla Corte d'Appello di New York nel 1904 e passata alla storia con il nome di Totten trust dove era avvenuto ugualmente un deposito con trust a favore di un terzo, con la facoltà di revoca del beneficio.
Le due fattispecie sono configurabili come savings bank trust con i soggetti di settlor nel depositante, di trustee nella baca e di beneficiario nel terzo. Il costituente si riserva il potere di revoca mantenendo la disponibilità delle somme e compie dunque un atto inter vivos con cui dispone del proprio patrimonio post mortem. Si tratta di un contratto a favore di un terzo in cui la prestazione va compiuta alla morte dello stipulante(art.1412c.c.). Si tratta di un atto di liberalità a causa di morte in deroga al divieto di patti successori?
2.LA DISTINZIONE TRA ATTI MORTIS CAUSA E ATTI POST MORTEM. I REQUISITI DEI NEGOZI TRANSMORTE.
L'atto mortis causa è l'atto diretto a regolare i rapporti patrimoniali e non patrimoniali del soggetto per il tempo e in dipendenza della sua morte, senza che si produca alcun effetto prima di tale evento. Esso ha come contenuto tipico il regolamento di una situazione rilevante giuridicamente dopo la morte del suo autore.
Negli atti post mortem l'evento della morte rappresenta invece soltanto la condizione o il termine di efficacia dell'attribuzione che è attuale e non limitata al residuo dopo l'evento della morte.
Sulla base di tale distinzione si è stabilito che non costituiscono atti mortis causa ma atti inter vivos aventi a oggetto beni futuri i patti successori dispositivi e rinunciativi(vietati dall'art. 458). Si sono individuati una serie di atti di natura contrattuale con la funzione di alternativa convenzionale al testamento i quali permettono: il controllo della qualità del soggetto beneficiario e il mantenimento e la formazione educativa spirituale e professionale di determinate persone permettendo anche una diversificazione dei beni in vista del tipo di trasferimento più idoneo rispetto alla loro natura.
Tali soluzioni contrattuali alternative al testamento dirette a regolare situazioni patrimoniali post mortem sono dette successioni anomale tra cui la dottrina ha individuato alcune figure tipiche tutte caratterizzate dalla coesistenza di tre elementi: 1. cessazione dell'appartenenza del bene al disponente dal momento della stipula. 2. differimento dell'acquisto da parte del beneficiario al momento della morte del disponente 3. riserva a favore del disponente del potere di revoca.
Si distinguono ulteriormente figure indicate come negozi post mortem che presentano solo i primi due requisiti, non essendo revocabili e in cui l'immediata operatività dell'attribuzione impedisce che si possa parlare di atto mortis causa, estraneo dunque al divieto di patti successori.
3.IL MANDATO POST MORTEM E IL CONTRATTO A FAVORE DI TERZI CON EFFETTI POST MORTEM
In questi casi è maggiore la possibilità di una violazione dei patti successori. Il mandato post mortem conferito per contratto si afferma essere nullo ex art.458c.c. Ogni qual volta ne sia pattuita l'irrevocabilità mentre è ritenuto valido il mandato post mortem exsequendum per il quale il mandatario è tenuto a consegnare al terzo l'oggetto di un'attribuzione patrimoniale già attuata e perfezionata durante la vita del mandante.
Per quanto concerne il contratto a favore di terzo con effetti post mortem una parte della dottrina ravvisa uno strumento per la realizzazione di un'attribuzione mortis causa, elusiva del divieto di patti successori.
All'ipotesi di un Totten trust è negata validità da chi ravvisa in essa gli estremi di una disposizione testamentaria indiretta inammissibile nel nostro ordinamento in quanto prima della morte del depositante nessuna modifica era intervenuta nel suo patrimonio.
4.IL RICONOSCIMENTO DEGLI EFFETTI DEL TRUST NEL DIRITTO SUCCESSORIO ITALIANO
Attraverso la L.n. 364/1989 non si verifica l'entrata a pieno titolo del trust nel nostro ordinamento, essendosi verificato il riconoscimento da parte del nostro ordinamento degli effetti dei trusts costituiti nei paesi di common law. Risulta non infondata l'ipotesi che l'esclusione del trust domestico o interno comporti una disparità di trattamento rilevante a livello di Legittimità costituzionale. Cesare Grassetti si augurava che nella riforma del diritto privato si tenesse presente l'istituto del trust, ma il suo messaggio non fu recepito. Tuttora il messaggio è attuale in quanto nel nostro ordinamento vale un riconoscimento di diritto internazionale privato per gli effetti dei trusts costituiti nei paesi di common law in quanto sono fatti salvi i limiti della legge nazionale in materia di testamento e di devoluzione dei beni ereditari, con specifica attenzione per i diritti dei legittimari.
Non sono mancati timori di un'applicazione eccessivamente rigida di tali limiti, che potrebbe portare all'assimilazione di un trust inter vivos ad un atto di liberalità atipico di cui all'art.809 c.c. Con la conseguenza di un possibile ricorso all'art.555c.c per la parte eccedente la quota disponibile, senza escludere la possibile violazione ex art. 458c.c. E i limiti della sostituzione fedecommissaria sanciti dall'attuale art.692c.c.
5.L'UTILIZZO DEL TRUST IN FUNZIONE PARASUCCESSORIA E IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI
Si è affermata la superiorità del trust rispetto agli strumenti tradizionali del diritto successorio, in conseguenza dello schema estremamente lineare e semplice dell'istituto.
Nel trust il settlor dispone di uno o più beni di sua proprietà a favore del trustee il quale è tenuto all'amministrazione di questi beni che rimangono separati dal suo patrimonio personale ed è inoltre tenuto ad assicurare le aspettative del destinatario finale dell'attribuzione. L'unico proprietario è il trustee che è però obbligato all'esercizio del diritto di proprietà e al suo trasferimento finale al beneficiario in conformità alle direttive del settlor.
Tra le utilizzazioni possibili:
1.il settlor dà incarico al trustee di amministrare le azioni di una società che costituisce il patrimonio di famiglia attribuendo le rendite ai figli, cui verrà trasferita la titolarità quando saranno in grado.
2.il settlor costituisce una parte del suo patrimonio in trust irrevocabile a titolo gratuito stabilendo che il trust cessi alla sua morte e che i beni prima costituiti in trust siano attribuiti a soggetti determinati e non più codificabili.
3.Il settlor costituisce in trust alcuni suoi beni incaricando il trustee di destinare le rendite a soggetti diversi successivamente, a ognuno dopo la morte dell'altro, attribuendo la proprietà dei beni al più giovane dei figli dell'ultimo dei soggetti.
4.Il settlor trasferisce in trust ad una società straniera l'intero pacchetto azionario di altra società straniera della quale è unico azionista e che è proprietaria di tutti i suoi beni siti in Italia con il patto che alla sua morte il trustee il trustee provvederà alla gestione della società di cui precedentemente il settlor era l'unico azionista destinando per venti anni le rendite ad un soggetto e destinando poi il pacchetto azionario a un ulteriore soggetto.
L'ultima ipotesi non violerebbe alcuna legge italiana in quanto nessuno dei passaggi costituisce atto simulato. La giurisprudenza francese ha ritenuto valido tale tipo di trust per due ragioni:perché manca qualsiasi accordo con il beneficiario futuro; perché il trasferimento del diritto non coincide con la morte del settlor ma si realizza in via definitiva durante la vita di lui.
L'immediatezza dell'acquisto in capo al trustee e l'unilateralità dell'atto porta ad affermare che anche il living trust, dove il settlor si riserva la libertà di revocare il beneficiario finale dell'attribuzione, non contrasterebbe con il divieto di patti successori, non essendovi alcun accordo diretto con il beneficiario finale.
A tale conclusione giunge anche la dottrina italiana la quale esclude che la caratteristica strutturale del trust possa dare vita a un patto successorio istitutivo e che si possa parlare di atto mortis causa.
Per avere una nullità generalizzata del trust si dovrebbe provare la contrarietà dell'istituto rispetto ai principi della successione mortis causa. Ma le strutture sono diverse, nel trust manca l'accordo tra il de cuius e il soggetto destinatario dell'attribuzione, che è elemento fondante del patto successorio istitutivo. Altro elemento caratterizzante il patto istitutivo è che l'oggetto della disposizione faccia parte dell'asse ereditario mentre nel trust i beni sono usciti definitivamente dal patrimonio del de cuius. In terzo luogo, almeno nel living trust, non è ravvisabile alcuna limitazione alla libertà testamentaria.
Dunque un contrasto del trust con i principi del diritto successorio non è ravvisabile col divieto di patti successori ma nel fatto che mediante in trust si potrebbe delineare un assetto di interessi mortis causa al di fuori del testamento, unico atto riconosciuto dal nostro ordinamento. Tuttavia, al momento della morte, i beni non appartengono all'asse ereditario, in quanto la proprietà è stata già trasferita in via definitiva e per atto inter vivos al trustee. Per questo motivo non vi è interferenza nemmeno con il divieto di disporre mortis causa del proprio patrimonio con uno strumento diverso dal testamento posto dall'art.457c.c.
L'art.458 pone il divieto di compiere patti successori, sulla base di una tradizione romanistica accolta in modo acritico. La dottrina sta rivedendo tale dogma che esclude ogni altra fonte rispetto al testamento. E' avvenuto di recente il riconoscimento legislativo degli effetti dei trusts costituiti nei paesi di common law attraverso la ratifica e l'esecuzione del 1989 della convenzione adottata a l'Aja nel 1985.
Diventa più evidente così nel nostro ordinamento il problema di soluzioni negoziali alternative al testamento. Primo caso: trust for sale alla fine del XIX secolo gli viene data soluzione negativa dalla corte d'appello di Cagliari. Secondo caso: nel 1909 la corte di cassazione di Napoli valuta come amministrazione a scopo di conservazione del patrimonio nell'interesse dei successivi chiamati a godere un trust che disponeva un legato periodico. Secondo Carlo Manenti, sempre nel 1909, il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzi si concretizzava in un disposizione di ultima volontà alternativa alle forme tipiche di testamento previste in quanto l'acquisto del terzo si concretizzava solo alla morte dell'assicurato e fino a quel momento l'assicurato aveva potere di revoca. La tesi rimane isolata nella dottrina dell'epoca che la ritiene viziata per una sovrapposizione di causa e termine essendo la morte soltanto il momento di consolidazione di un contratto già perfezionatosi nel contratto di assicurazione.
La tesi di Manenti è stata riscoperta dopo circa mezzo secolo dal tribunale di Catania circa l'emissione di un libretto di deposito nominativo a favore di un terzo con la riserva di prelevare le somme residue solo dopo la morte del depositante. La sentenza stabilisce l'obbligo per la banca di dare le somme al terzo e l'annotatore della sentenza ritiene che si tratti di contratto a favore di un terzo per perseguire una finalità tipica di atti mortis causa con conseguente nullità del deposito per difetto di forma ad substantiam.
Tale fattispecie era analoga a quella esaminata dalla Corte d'Appello di New York nel 1904 e passata alla storia con il nome di Totten trust dove era avvenuto ugualmente un deposito con trust a favore di un terzo, con la facoltà di revoca del beneficio.
Le due fattispecie sono configurabili come savings bank trust con i soggetti di settlor nel depositante, di trustee nella baca e di beneficiario nel terzo. Il costituente si riserva il potere di revoca mantenendo la disponibilità delle somme e compie dunque un atto inter vivos con cui dispone del proprio patrimonio post mortem. Si tratta di un contratto a favore di un terzo in cui la prestazione va compiuta alla morte dello stipulante(art.1412c.c.). Si tratta di un atto di liberalità a causa di morte in deroga al divieto di patti successori?
2.LA DISTINZIONE TRA ATTI MORTIS CAUSA E ATTI POST MORTEM. I REQUISITI DEI NEGOZI TRANSMORTE.
L'atto mortis causa è l'atto diretto a regolare i rapporti patrimoniali e non patrimoniali del soggetto per il tempo e in dipendenza della sua morte, senza che si produca alcun effetto prima di tale evento. Esso ha come contenuto tipico il regolamento di una situazione rilevante giuridicamente dopo la morte del suo autore.
Negli atti post mortem l'evento della morte rappresenta invece soltanto la condizione o il termine di efficacia dell'attribuzione che è attuale e non limitata al residuo dopo l'evento della morte.
Sulla base di tale distinzione si è stabilito che non costituiscono atti mortis causa ma atti inter vivos aventi a oggetto beni futuri i patti successori dispositivi e rinunciativi(vietati dall'art. 458). Si sono individuati una serie di atti di natura contrattuale con la funzione di alternativa convenzionale al testamento i quali permettono: il controllo della qualità del soggetto beneficiario e il mantenimento e la formazione educativa spirituale e professionale di determinate persone permettendo anche una diversificazione dei beni in vista del tipo di trasferimento più idoneo rispetto alla loro natura.
Tali soluzioni contrattuali alternative al testamento dirette a regolare situazioni patrimoniali post mortem sono dette successioni anomale tra cui la dottrina ha individuato alcune figure tipiche tutte caratterizzate dalla coesistenza di tre elementi: 1. cessazione dell'appartenenza del bene al disponente dal momento della stipula. 2. differimento dell'acquisto da parte del beneficiario al momento della morte del disponente 3. riserva a favore del disponente del potere di revoca.
Si distinguono ulteriormente figure indicate come negozi post mortem che presentano solo i primi due requisiti, non essendo revocabili e in cui l'immediata operatività dell'attribuzione impedisce che si possa parlare di atto mortis causa, estraneo dunque al divieto di patti successori.
3.IL MANDATO POST MORTEM E IL CONTRATTO A FAVORE DI TERZI CON EFFETTI POST MORTEM
In questi casi è maggiore la possibilità di una violazione dei patti successori. Il mandato post mortem conferito per contratto si afferma essere nullo ex art.458c.c. Ogni qual volta ne sia pattuita l'irrevocabilità mentre è ritenuto valido il mandato post mortem exsequendum per il quale il mandatario è tenuto a consegnare al terzo l'oggetto di un'attribuzione patrimoniale già attuata e perfezionata durante la vita del mandante.
Per quanto concerne il contratto a favore di terzo con effetti post mortem una parte della dottrina ravvisa uno strumento per la realizzazione di un'attribuzione mortis causa, elusiva del divieto di patti successori.
All'ipotesi di un Totten trust è negata validità da chi ravvisa in essa gli estremi di una disposizione testamentaria indiretta inammissibile nel nostro ordinamento in quanto prima della morte del depositante nessuna modifica era intervenuta nel suo patrimonio.
4.IL RICONOSCIMENTO DEGLI EFFETTI DEL TRUST NEL DIRITTO SUCCESSORIO ITALIANO
Attraverso la L.n. 364/1989 non si verifica l'entrata a pieno titolo del trust nel nostro ordinamento, essendosi verificato il riconoscimento da parte del nostro ordinamento degli effetti dei trusts costituiti nei paesi di common law. Risulta non infondata l'ipotesi che l'esclusione del trust domestico o interno comporti una disparità di trattamento rilevante a livello di Legittimità costituzionale. Cesare Grassetti si augurava che nella riforma del diritto privato si tenesse presente l'istituto del trust, ma il suo messaggio non fu recepito. Tuttora il messaggio è attuale in quanto nel nostro ordinamento vale un riconoscimento di diritto internazionale privato per gli effetti dei trusts costituiti nei paesi di common law in quanto sono fatti salvi i limiti della legge nazionale in materia di testamento e di devoluzione dei beni ereditari, con specifica attenzione per i diritti dei legittimari.
Non sono mancati timori di un'applicazione eccessivamente rigida di tali limiti, che potrebbe portare all'assimilazione di un trust inter vivos ad un atto di liberalità atipico di cui all'art.809 c.c. Con la conseguenza di un possibile ricorso all'art.555c.c per la parte eccedente la quota disponibile, senza escludere la possibile violazione ex art. 458c.c. E i limiti della sostituzione fedecommissaria sanciti dall'attuale art.692c.c.
5.L'UTILIZZO DEL TRUST IN FUNZIONE PARASUCCESSORIA E IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI
Si è affermata la superiorità del trust rispetto agli strumenti tradizionali del diritto successorio, in conseguenza dello schema estremamente lineare e semplice dell'istituto.
Nel trust il settlor dispone di uno o più beni di sua proprietà a favore del trustee il quale è tenuto all'amministrazione di questi beni che rimangono separati dal suo patrimonio personale ed è inoltre tenuto ad assicurare le aspettative del destinatario finale dell'attribuzione. L'unico proprietario è il trustee che è però obbligato all'esercizio del diritto di proprietà e al suo trasferimento finale al beneficiario in conformità alle direttive del settlor.
Tra le utilizzazioni possibili:
1.il settlor dà incarico al trustee di amministrare le azioni di una società che costituisce il patrimonio di famiglia attribuendo le rendite ai figli, cui verrà trasferita la titolarità quando saranno in grado.
2.il settlor costituisce una parte del suo patrimonio in trust irrevocabile a titolo gratuito stabilendo che il trust cessi alla sua morte e che i beni prima costituiti in trust siano attribuiti a soggetti determinati e non più codificabili.
3.Il settlor costituisce in trust alcuni suoi beni incaricando il trustee di destinare le rendite a soggetti diversi successivamente, a ognuno dopo la morte dell'altro, attribuendo la proprietà dei beni al più giovane dei figli dell'ultimo dei soggetti.
4.Il settlor trasferisce in trust ad una società straniera l'intero pacchetto azionario di altra società straniera della quale è unico azionista e che è proprietaria di tutti i suoi beni siti in Italia con il patto che alla sua morte il trustee il trustee provvederà alla gestione della società di cui precedentemente il settlor era l'unico azionista destinando per venti anni le rendite ad un soggetto e destinando poi il pacchetto azionario a un ulteriore soggetto.
L'ultima ipotesi non violerebbe alcuna legge italiana in quanto nessuno dei passaggi costituisce atto simulato. La giurisprudenza francese ha ritenuto valido tale tipo di trust per due ragioni:perché manca qualsiasi accordo con il beneficiario futuro; perché il trasferimento del diritto non coincide con la morte del settlor ma si realizza in via definitiva durante la vita di lui.
L'immediatezza dell'acquisto in capo al trustee e l'unilateralità dell'atto porta ad affermare che anche il living trust, dove il settlor si riserva la libertà di revocare il beneficiario finale dell'attribuzione, non contrasterebbe con il divieto di patti successori, non essendovi alcun accordo diretto con il beneficiario finale.
A tale conclusione giunge anche la dottrina italiana la quale esclude che la caratteristica strutturale del trust possa dare vita a un patto successorio istitutivo e che si possa parlare di atto mortis causa.
Per avere una nullità generalizzata del trust si dovrebbe provare la contrarietà dell'istituto rispetto ai principi della successione mortis causa. Ma le strutture sono diverse, nel trust manca l'accordo tra il de cuius e il soggetto destinatario dell'attribuzione, che è elemento fondante del patto successorio istitutivo. Altro elemento caratterizzante il patto istitutivo è che l'oggetto della disposizione faccia parte dell'asse ereditario mentre nel trust i beni sono usciti definitivamente dal patrimonio del de cuius. In terzo luogo, almeno nel living trust, non è ravvisabile alcuna limitazione alla libertà testamentaria.
Dunque un contrasto del trust con i principi del diritto successorio non è ravvisabile col divieto di patti successori ma nel fatto che mediante in trust si potrebbe delineare un assetto di interessi mortis causa al di fuori del testamento, unico atto riconosciuto dal nostro ordinamento. Tuttavia, al momento della morte, i beni non appartengono all'asse ereditario, in quanto la proprietà è stata già trasferita in via definitiva e per atto inter vivos al trustee. Per questo motivo non vi è interferenza nemmeno con il divieto di disporre mortis causa del proprio patrimonio con uno strumento diverso dal testamento posto dall'art.457c.c.
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I PRESUPPOSTI DELLA VOCAZIONE EREDITARIA. LA CAPACITA' DI SUCCEDERE
1.PREMESSE GENERALI. CAPACITA' DI SUCCEDERE E CAPACITA' GIURIDICA. LA PRESUNZIONE RELATIVA AL CONCEPIMENTO. CAPACITA' DI SUCCEDERE ED ESISTENZA DEL SUCCESSIBILE. LE INCAPACITA' RELATIVE DI SUCCEDERE
Nel codice civile del 1942 la disciplina della capacità di succedere, art.462, fa parte delle disposizioni generali sulle successioni. Si tratta infatti di regole comuni ad ogni tipo di successione.
Tale collocazione è innovativa rispetto al codice del 1865 che aveva posto tali norme tra le disposizioni sulle successioni legittime, portando così a una duplicazione di norme. Sono state inoltre accolte le disposizioni della dottrina, riservando un capo autonomo all'indegnità, separandola dall'incapacità di succedere.
Tuttavia anche l'attuale sistemazione della materia non è esente di critiche. La normativa non è stata in grado di risolvere il rapporto tra incapacità di succedere e indegnità. Inoltre ci si pone il problema dell'utilità dell'art.462 circa la capacità di succedere che sembrerebbe meramente ripetitivo dellart.1c.c. Salvo che per il 3' comma dell'art.462 che riconosce la capacità di succedere ai figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore quando ancora non concepiti. Inoltre il 2' comma dell'art.462c.c. Comporta una discrasia rispetto alla disposizione generale dell'art.232,1'comma in quanto stabilisce una presunzione semplice di concepimento e quindi rimane possibile provare che il concepimento sia avvenuto dopo la morte del de cuius cosicchè il concepito potrebbe essere escluso dalla successione pur mantenendo lo status di figlio legittimo. Alla dottrina non è sfuggito il problema e dunque la prova contraria risulta inammissibile qualora vi sia una controversia anche sulla legittimità. La prova contraria è ammissibile in caso di filiazione naturale o di successione tra fratelli o estranei.
La formulazione positiva del 1'comma dell'art.462 è invece utile ad evitare la sovrapposizione tra l'esistenza della persona e la capacità di succedere propriamente detta, al contrario del codice del 1865 dove l'incapacità di succedere era destinata a rimanere assorbita nell'inesistenza del soggetto. Inoltre la formulazione più chiara dell'art.462c.c. Consente di enucleare meglio la regola generale della capacità. Non sono di ostacolo le norme che limitano la capacità di ricevere per testamento del notaio, dei testimoni e dell'interprete(artt.596-598) per i quali vale un'incapacità di succedere relativa o un difetto di legittimazione e per i quali non c'è un'assoluta incapacità di succedere.
2.IL SISTEMA DELL'ART.462C.C. I FIGLI NON CONCEPITI DI UNA DETERMINATA PERSONA VIVENTE AL MOMENTO DELLA MORTE DEL TESTATORE. I CONCEPITI AL MOMENTO DELL'APERTURA DELLA SUCCESSIONE
Nessuna capacità successoria generale è attribuita ai non concepiti: la loro capacità è condizionata al concepimento da parte di soggetti in vita al momento della morte del de cuius. La rimozione della clausola “immediati” non significa un'equiparazione del termine figli alla categoria dei discendenti in linea retta. Problema maggiore è quali siano i soggetti che vanno ritenuti figli: sono da ritenersi tali i figli naturali riconosciuti o giudizialmente accertati, mentre è discussa la posizione dei figli adottivi per i quali non c'è concepimento ma per i quali sembra comunque preferibile soluzione positiva.
Per quanto riguarda i diritti successori del concepito l'art.1,2'comma farebbe ritenere che i diritti successori del concepito siano subordinati all'evento della nascita. Va ricordato che la loro capacità è comunque generale e non speciale, come per i non concepiti, in quanto sono potenziali destinatari anche della vocazione ereditaria legittima.
3.IPRESUPPOSTI DELLA CAPACITA' DI SUCCEDERE. L'ELIMINAZIONE Del REQUISITO DELLA VITALITA'. SITAZIONE DEL CHIAMATO DI CUI SIA INCERTA L'ESISTENZA
L'unica ipotesi di capacità incondizionata è quella di chi nasce prima dell'apertura della successione. Oltre alla nascita in sé per sé è necessario che il destinatario della vocazione sia nato vivo, non è invece più richiesto il carattere della vitalità, precedentemente posto dall'art.724,1'comma c.c.
In secondo luogo il chiamato deve essere ancora in vita al momento dell'apertura della successione per quanto non vi sia un'esplicazione di tale principio generale come avviene nell'art.725 del code civil.
È più controversa la posizione del chiamato di cui sia incerta l'esistenza al momento dell'apertura della successione, a prescindere da una dichiarazione formale di assenza o di morte presunta.
Uno dei presupposti della vocazione ereditaria è certamente quello della certezza dell'esistenza del chiamato al momento dell'apertura della successione per cui fino a quando non viene meno la situazione di incertezza la fattispecie si presenta incompleta e la designazione non è in grado di esplicare i suoi effetti tipici. La designazione non è tuttavia del tutto efficace, in quanto l'art.70,2'comma dispone una serie di cautele nel caso in cui il chiamato ritorni o ne sia provata la sua esistenza al momento dell'apertura della successione.
4.LA VOCAZIONE DEI NASCITURI CONCEPITI E NON CONCEPITI. IL SENSO DELL'IMMEDIATEZZA DELLA VOCAZIONE DEL CONCEPITO
Si pone un problema non lieve circa la capacità di succedere dei concepiti dal momento in cui l'art.462,1' comma non contiene alcun riferimento all'evento della nascita al contrario dell'art.1,2'comma. Da tale divergenza si arriva a parlare di capacità attuale di succedere del concepito, di delazione sospesa o di delazione condizionata.
Nel primo caso la retroattività dell'acquisto al momento dell'apertura della successione trova giustificazione nell'anticipazione della personalità sulla nascita, attribuendo al concepito una personalità limitata o strumentale. Al contrario, nel secondo caso, chi ricostruisce la vocazione del concepito subordinata all'evento della nascita sottolinea che la delazione sarebbe in uno stato di pendenza dal momento che la designazione è senza effetto se il concepito non viene ad esistenza.
Nel tentativo di mediare tra le due diverse concezioni si è suggerito di distinguere la vocazione ereditaria dalla delazione, per cui il concepito sarebbe idoneo alla vocazione ma mancherebbe la delazione in quanto manca una personalità finale e duratura.
La problematica si ripropone in termini analoghi per i non concepiti. Si controverte infatti circa una vocazione attuale e perfetta o di una vocazione sottoposta a condizione. Nell'ultima delle ipotesi si tratterebbe di una fattispecie a formazione progressiva che si perfeziona al momento della nascita, retroagendo al tempo dell'apertura della successione. Non manca chi ravvisa la doppia vocazione del non concepito e di colui che succederebbe al suo posto se poi non seguisse la nascita. Non manca ancora chi afferma che le situazioni del concepito e del non concepito non siano assimilabili perché la disciplina positiva sarebbe notevolmente diversa nelle due ipotesi, essendo per di più riservato ai non concepiti un comma a sé stante.
Rimane a questo punto il problema di chiedersi se l'art.320,1'e3'comma, che implicitamente consente ai genitori di accettare l'eredità in nome e per conto del nascituro, si riferisce ai concepiti e non concepiti. In definitiva bisogna chiedersi se alla diversità di disciplina corrisponda un'effettiva differenziazione delle rispettive vocazioni ereditarie. È opinione diffusa quella che nel caso del non concepito mancherebbe lo stesso destinatario della vocazione, per quanto lo stesso accadrebbe nel caso in cui il nascituro non venga ad esistenza. Nei confronti dei nascituri, concepiti o no, non è possibile parlare di vacanza della quota, che si avrà invece solo quando è certo che il non concepito non potrà più venire ad esistenza.
Non è ancora utile a differenziare le due ipotesi il fatto che in caso di concepiti i beni vengano amministrati dai genitori, mentre nel caso di non concepiti non è necessario che essi siano dati alla persona vivente che dovrebbe generarli. La rappresentanza del genitore è assicurata dalla legge anche a favore del non concepito(art.643,1'comma) e l'amministrazione dei beni deve comunque avvenire con l'osservanza delle norme sui curatori dell'eredità giacente in entrambi i casi. L'art.320,1'comma attribuisce inoltre ai genitori la rappresentanza e l'amministrazione dei beni dei figli nascituri, senza fare differenza tra concepiti e non.
La questione dell'attualità della vocazione del concepito perde gran parte della sua importanza pratica alla luce della retroattività dell'accettazione al tempo dell'apertura della successione(art.459).
In ogni caso l'accettazione in nome e per conto del concepito non comporta l'acquisto di diritti prima della nascita in nessun caso.
5.PROCREAZIONE ASSISTITA E CAPACITA' DI SUCCEDERE DEL NASCITURO. LA TUTELA DELL'EMBRIONE
Le pratiche di procreazione assistita mettono a dura prova la valenza delle teorie sulla capacità di succedere. In Francia, dove la legge esclude la capacità di succedere dei non concepiti, si sono create forti disparità quando è stato riconosciuto diritto di succedere al concepito con fecondazione in vitro prima della morte (e impianto successivo) mentre non è stato riconosciuto tale diritto al concepito attraverso inseminazione post mortem.
Il concepimento in vitro pone inoltre problemi nel caso in cui egli venga impiantato anche a distanza di anni, ponendo nel vuoto situazioni ormai consolidate. Per cui risulta necessario chiarire meglio se la capacità successoria si acquisti al momento della fecondazione dell'ovulo o del suo impianto; si è auspicata inoltre una modifica dell'art.725 code civil in modo da riconoscere anche al concepito per l'inseminazione omologa post mortem la capacità di succedere.
Situazione analoga si verifica nel diritto italiano, dove è richiesta l'esistenza di entrambi i genitori al momento dell'impianto dell'embrione dalla L.n.40/2004. La dottrina aveva già da tempo evidenziato l'assoluta inadeguatezza del diritto vigente di far fronte alle nuove problematiche emergenti dalla procreazione assistita. Il problema del riconoscimento dei diritti successori all'embrione sarebbe semplificato se si riuscisse a dimostrare che dopo la L.n.40/2004 nulla osta ad una assimilazione dell'embrione al nascituro concepito. Ma la situazione non è così semplice, come dimostrato dalla molteplicità di soluzioni prospettate prima della stessa legge 40. Necessità di un intervento legislativo per una regolamentazione armonica della materia, che elimini il disagio dell'interprete.
A livello successorio i problemi di tutela dell'embrione sono essenzialmente due: il primo problema riguarda l'inseminazione post mortem per quanto riguarda la successione paterna. Non è possibile infatti considerare tra i successibili chi sia stato concepito a seguito della morte del proprio genitore. Si è proposto dunque di scindere il profilo dell'attribuzione dello status di figlio legittimo dal profilo di riconoscimento dei diritti successori. Il secondo problema è quello dell'embrione crioconservato con impianto solo dopo l'apertura della successione, vietato dalla legge 40 ma scientificamente possibile. In Francia si riconosce la capacità successoria al nato vivo a seguito di impianto post mortem di embrione crioconservato. Il problema si sposta dunque sulla prova di essere stato concepito prima dell'apertura della successione nonostante che la nascita sia avvenuta oltre il limite dei trecento giorni. Per di più vi è una maggiore incertezza dovuta al fatto che la la nascita potrebbe avvenire anche a distanza di molto tempo dall'apertura della successione e vi è un'esigenza altrettanto evidente di tutela dei chiamati in subordine.
In Italia l'unica soluzione certamente rispettosa della legge 40 al momento è quella più drastica: l'interpretazione restrittiva dell'art.462c.c. In modo da considerare concepito il solo embrione già impiantato al momento dell'apertura della successione. L'unica soluzione alternativa potrebbe essere quella di considerare il nascituro da embrione crioconservato alla stregua di un erede istituito sotto condizione sospensiva ex art.641c.c.
6.LA CAPACITA' DI SUCCEDERE DELLE PERSONE GIURIDICHE. GLI ENTI NON PERSONIFICATI E L'ABROGAZIONE DELL'ART.600C.C.
L'art.462c.c. Non si occupa della capacità di succedere delle persone giuridiche, per quanto nessun dubbio esista nella nostra dottrina sulla capacità di succedere delle persone giuridiche anche prima dell'abrogazione degli artt.17 e 600c.c. Il primo dei quali richiedeva l'autorizzazione governativa per l'accettazione di eredità e per l'acquisto di legati mentre il secondo dichiarava inefficaci disposizioni a favore di un ente non riconosciuto se entro un anno dal giorno in cui il testamento era eseguibile non fosse stata fatta istanza per il riconoscimento.
Unico riferimento implicito rimane quello dell'art.473,1'comma che obbliga le persone giuridiche ad accettare con beneficio di inventario. Le persone giuridiche hanno capacità di succedere speciale, non potendo esse essere destinatarie della vocazione legale. Fa eccezione la successione dello stato ex art.586c.c.
La capacità di ricevere per testamento è indiscussa solo per le persone giuridiche esistenti come soggetti, per cui la persona giuridica è incapace di succedere quando sia dichiarata estinta ex art.27c.c. e messa in liquidazione dopo l'apertura della successione ma prima di avere accettato l'eredità o acquistato il legato. Prima dell'abrogazione dell'art.600c.c. Inoltre si riteneva che gli enti non personificati fossero incapaci di succedere anche se poi si precisava che tale incapacità poteva essere rimossa con istanza di riconoscimento e, in quanto la disposizione era inefficace, si parlava di sospensione della delazione o di vacanza dell'eredità o di istituzione sotto condizione assimilando la disposizione a favore dell'ente di fatto alle disposizioni a favore di un concepito. Tale ricostruzione antropomorfa è stata ritenuta in tempi recenti non particolarmente significativa.
Secondo una prima concezione si distingueva il trattamento dell'ente costituito ma non ancora esistente giuridicamente da quello dell'ente non costituito neanche in fatto. Secondo una concezione ancora più possibilista si muoveva chi attribuiva agli enti non personificati ma già esistenti in fatto un'autonoma individualità e soggettività giuridica, di grado non inferiore a quella delle persone giuridiche riconosciute. Secondo questa seconda ricostruzione il problema dell'efficacia delle disposizioni testamentarie a favore di enti non riconosciuti tornava ad essere risolto con lo strumento tradizionale della condizione legale. Tale dibattito, seppur ormai sopito, è stato uno dei più vivaci e appassionati nella dottrina civilistica italiana.
Anche dopo l'abrogazione dell'art.600 tuttavia vi sono delle limitazioni per quanto concerne gli enti non esistenti neanche in fatto. La capacità di succedere delle persone giuridiche non riconosciute deve fare i conti con l'esistenza almeno in fatto del soggetto destinatario, rimanendo dunque la vocazione soggetta alla condizione dell'esistenza.
Nel codice civile del 1942 la disciplina della capacità di succedere, art.462, fa parte delle disposizioni generali sulle successioni. Si tratta infatti di regole comuni ad ogni tipo di successione.
Tale collocazione è innovativa rispetto al codice del 1865 che aveva posto tali norme tra le disposizioni sulle successioni legittime, portando così a una duplicazione di norme. Sono state inoltre accolte le disposizioni della dottrina, riservando un capo autonomo all'indegnità, separandola dall'incapacità di succedere.
Tuttavia anche l'attuale sistemazione della materia non è esente di critiche. La normativa non è stata in grado di risolvere il rapporto tra incapacità di succedere e indegnità. Inoltre ci si pone il problema dell'utilità dell'art.462 circa la capacità di succedere che sembrerebbe meramente ripetitivo dellart.1c.c. Salvo che per il 3' comma dell'art.462 che riconosce la capacità di succedere ai figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore quando ancora non concepiti. Inoltre il 2' comma dell'art.462c.c. Comporta una discrasia rispetto alla disposizione generale dell'art.232,1'comma in quanto stabilisce una presunzione semplice di concepimento e quindi rimane possibile provare che il concepimento sia avvenuto dopo la morte del de cuius cosicchè il concepito potrebbe essere escluso dalla successione pur mantenendo lo status di figlio legittimo. Alla dottrina non è sfuggito il problema e dunque la prova contraria risulta inammissibile qualora vi sia una controversia anche sulla legittimità. La prova contraria è ammissibile in caso di filiazione naturale o di successione tra fratelli o estranei.
La formulazione positiva del 1'comma dell'art.462 è invece utile ad evitare la sovrapposizione tra l'esistenza della persona e la capacità di succedere propriamente detta, al contrario del codice del 1865 dove l'incapacità di succedere era destinata a rimanere assorbita nell'inesistenza del soggetto. Inoltre la formulazione più chiara dell'art.462c.c. Consente di enucleare meglio la regola generale della capacità. Non sono di ostacolo le norme che limitano la capacità di ricevere per testamento del notaio, dei testimoni e dell'interprete(artt.596-598) per i quali vale un'incapacità di succedere relativa o un difetto di legittimazione e per i quali non c'è un'assoluta incapacità di succedere.
2.IL SISTEMA DELL'ART.462C.C. I FIGLI NON CONCEPITI DI UNA DETERMINATA PERSONA VIVENTE AL MOMENTO DELLA MORTE DEL TESTATORE. I CONCEPITI AL MOMENTO DELL'APERTURA DELLA SUCCESSIONE
Nessuna capacità successoria generale è attribuita ai non concepiti: la loro capacità è condizionata al concepimento da parte di soggetti in vita al momento della morte del de cuius. La rimozione della clausola “immediati” non significa un'equiparazione del termine figli alla categoria dei discendenti in linea retta. Problema maggiore è quali siano i soggetti che vanno ritenuti figli: sono da ritenersi tali i figli naturali riconosciuti o giudizialmente accertati, mentre è discussa la posizione dei figli adottivi per i quali non c'è concepimento ma per i quali sembra comunque preferibile soluzione positiva.
Per quanto riguarda i diritti successori del concepito l'art.1,2'comma farebbe ritenere che i diritti successori del concepito siano subordinati all'evento della nascita. Va ricordato che la loro capacità è comunque generale e non speciale, come per i non concepiti, in quanto sono potenziali destinatari anche della vocazione ereditaria legittima.
3.IPRESUPPOSTI DELLA CAPACITA' DI SUCCEDERE. L'ELIMINAZIONE Del REQUISITO DELLA VITALITA'. SITAZIONE DEL CHIAMATO DI CUI SIA INCERTA L'ESISTENZA
L'unica ipotesi di capacità incondizionata è quella di chi nasce prima dell'apertura della successione. Oltre alla nascita in sé per sé è necessario che il destinatario della vocazione sia nato vivo, non è invece più richiesto il carattere della vitalità, precedentemente posto dall'art.724,1'comma c.c.
In secondo luogo il chiamato deve essere ancora in vita al momento dell'apertura della successione per quanto non vi sia un'esplicazione di tale principio generale come avviene nell'art.725 del code civil.
È più controversa la posizione del chiamato di cui sia incerta l'esistenza al momento dell'apertura della successione, a prescindere da una dichiarazione formale di assenza o di morte presunta.
Uno dei presupposti della vocazione ereditaria è certamente quello della certezza dell'esistenza del chiamato al momento dell'apertura della successione per cui fino a quando non viene meno la situazione di incertezza la fattispecie si presenta incompleta e la designazione non è in grado di esplicare i suoi effetti tipici. La designazione non è tuttavia del tutto efficace, in quanto l'art.70,2'comma dispone una serie di cautele nel caso in cui il chiamato ritorni o ne sia provata la sua esistenza al momento dell'apertura della successione.
4.LA VOCAZIONE DEI NASCITURI CONCEPITI E NON CONCEPITI. IL SENSO DELL'IMMEDIATEZZA DELLA VOCAZIONE DEL CONCEPITO
Si pone un problema non lieve circa la capacità di succedere dei concepiti dal momento in cui l'art.462,1' comma non contiene alcun riferimento all'evento della nascita al contrario dell'art.1,2'comma. Da tale divergenza si arriva a parlare di capacità attuale di succedere del concepito, di delazione sospesa o di delazione condizionata.
Nel primo caso la retroattività dell'acquisto al momento dell'apertura della successione trova giustificazione nell'anticipazione della personalità sulla nascita, attribuendo al concepito una personalità limitata o strumentale. Al contrario, nel secondo caso, chi ricostruisce la vocazione del concepito subordinata all'evento della nascita sottolinea che la delazione sarebbe in uno stato di pendenza dal momento che la designazione è senza effetto se il concepito non viene ad esistenza.
Nel tentativo di mediare tra le due diverse concezioni si è suggerito di distinguere la vocazione ereditaria dalla delazione, per cui il concepito sarebbe idoneo alla vocazione ma mancherebbe la delazione in quanto manca una personalità finale e duratura.
La problematica si ripropone in termini analoghi per i non concepiti. Si controverte infatti circa una vocazione attuale e perfetta o di una vocazione sottoposta a condizione. Nell'ultima delle ipotesi si tratterebbe di una fattispecie a formazione progressiva che si perfeziona al momento della nascita, retroagendo al tempo dell'apertura della successione. Non manca chi ravvisa la doppia vocazione del non concepito e di colui che succederebbe al suo posto se poi non seguisse la nascita. Non manca ancora chi afferma che le situazioni del concepito e del non concepito non siano assimilabili perché la disciplina positiva sarebbe notevolmente diversa nelle due ipotesi, essendo per di più riservato ai non concepiti un comma a sé stante.
Rimane a questo punto il problema di chiedersi se l'art.320,1'e3'comma, che implicitamente consente ai genitori di accettare l'eredità in nome e per conto del nascituro, si riferisce ai concepiti e non concepiti. In definitiva bisogna chiedersi se alla diversità di disciplina corrisponda un'effettiva differenziazione delle rispettive vocazioni ereditarie. È opinione diffusa quella che nel caso del non concepito mancherebbe lo stesso destinatario della vocazione, per quanto lo stesso accadrebbe nel caso in cui il nascituro non venga ad esistenza. Nei confronti dei nascituri, concepiti o no, non è possibile parlare di vacanza della quota, che si avrà invece solo quando è certo che il non concepito non potrà più venire ad esistenza.
Non è ancora utile a differenziare le due ipotesi il fatto che in caso di concepiti i beni vengano amministrati dai genitori, mentre nel caso di non concepiti non è necessario che essi siano dati alla persona vivente che dovrebbe generarli. La rappresentanza del genitore è assicurata dalla legge anche a favore del non concepito(art.643,1'comma) e l'amministrazione dei beni deve comunque avvenire con l'osservanza delle norme sui curatori dell'eredità giacente in entrambi i casi. L'art.320,1'comma attribuisce inoltre ai genitori la rappresentanza e l'amministrazione dei beni dei figli nascituri, senza fare differenza tra concepiti e non.
La questione dell'attualità della vocazione del concepito perde gran parte della sua importanza pratica alla luce della retroattività dell'accettazione al tempo dell'apertura della successione(art.459).
In ogni caso l'accettazione in nome e per conto del concepito non comporta l'acquisto di diritti prima della nascita in nessun caso.
5.PROCREAZIONE ASSISTITA E CAPACITA' DI SUCCEDERE DEL NASCITURO. LA TUTELA DELL'EMBRIONE
Le pratiche di procreazione assistita mettono a dura prova la valenza delle teorie sulla capacità di succedere. In Francia, dove la legge esclude la capacità di succedere dei non concepiti, si sono create forti disparità quando è stato riconosciuto diritto di succedere al concepito con fecondazione in vitro prima della morte (e impianto successivo) mentre non è stato riconosciuto tale diritto al concepito attraverso inseminazione post mortem.
Il concepimento in vitro pone inoltre problemi nel caso in cui egli venga impiantato anche a distanza di anni, ponendo nel vuoto situazioni ormai consolidate. Per cui risulta necessario chiarire meglio se la capacità successoria si acquisti al momento della fecondazione dell'ovulo o del suo impianto; si è auspicata inoltre una modifica dell'art.725 code civil in modo da riconoscere anche al concepito per l'inseminazione omologa post mortem la capacità di succedere.
Situazione analoga si verifica nel diritto italiano, dove è richiesta l'esistenza di entrambi i genitori al momento dell'impianto dell'embrione dalla L.n.40/2004. La dottrina aveva già da tempo evidenziato l'assoluta inadeguatezza del diritto vigente di far fronte alle nuove problematiche emergenti dalla procreazione assistita. Il problema del riconoscimento dei diritti successori all'embrione sarebbe semplificato se si riuscisse a dimostrare che dopo la L.n.40/2004 nulla osta ad una assimilazione dell'embrione al nascituro concepito. Ma la situazione non è così semplice, come dimostrato dalla molteplicità di soluzioni prospettate prima della stessa legge 40. Necessità di un intervento legislativo per una regolamentazione armonica della materia, che elimini il disagio dell'interprete.
A livello successorio i problemi di tutela dell'embrione sono essenzialmente due: il primo problema riguarda l'inseminazione post mortem per quanto riguarda la successione paterna. Non è possibile infatti considerare tra i successibili chi sia stato concepito a seguito della morte del proprio genitore. Si è proposto dunque di scindere il profilo dell'attribuzione dello status di figlio legittimo dal profilo di riconoscimento dei diritti successori. Il secondo problema è quello dell'embrione crioconservato con impianto solo dopo l'apertura della successione, vietato dalla legge 40 ma scientificamente possibile. In Francia si riconosce la capacità successoria al nato vivo a seguito di impianto post mortem di embrione crioconservato. Il problema si sposta dunque sulla prova di essere stato concepito prima dell'apertura della successione nonostante che la nascita sia avvenuta oltre il limite dei trecento giorni. Per di più vi è una maggiore incertezza dovuta al fatto che la la nascita potrebbe avvenire anche a distanza di molto tempo dall'apertura della successione e vi è un'esigenza altrettanto evidente di tutela dei chiamati in subordine.
In Italia l'unica soluzione certamente rispettosa della legge 40 al momento è quella più drastica: l'interpretazione restrittiva dell'art.462c.c. In modo da considerare concepito il solo embrione già impiantato al momento dell'apertura della successione. L'unica soluzione alternativa potrebbe essere quella di considerare il nascituro da embrione crioconservato alla stregua di un erede istituito sotto condizione sospensiva ex art.641c.c.
6.LA CAPACITA' DI SUCCEDERE DELLE PERSONE GIURIDICHE. GLI ENTI NON PERSONIFICATI E L'ABROGAZIONE DELL'ART.600C.C.
L'art.462c.c. Non si occupa della capacità di succedere delle persone giuridiche, per quanto nessun dubbio esista nella nostra dottrina sulla capacità di succedere delle persone giuridiche anche prima dell'abrogazione degli artt.17 e 600c.c. Il primo dei quali richiedeva l'autorizzazione governativa per l'accettazione di eredità e per l'acquisto di legati mentre il secondo dichiarava inefficaci disposizioni a favore di un ente non riconosciuto se entro un anno dal giorno in cui il testamento era eseguibile non fosse stata fatta istanza per il riconoscimento.
Unico riferimento implicito rimane quello dell'art.473,1'comma che obbliga le persone giuridiche ad accettare con beneficio di inventario. Le persone giuridiche hanno capacità di succedere speciale, non potendo esse essere destinatarie della vocazione legale. Fa eccezione la successione dello stato ex art.586c.c.
La capacità di ricevere per testamento è indiscussa solo per le persone giuridiche esistenti come soggetti, per cui la persona giuridica è incapace di succedere quando sia dichiarata estinta ex art.27c.c. e messa in liquidazione dopo l'apertura della successione ma prima di avere accettato l'eredità o acquistato il legato. Prima dell'abrogazione dell'art.600c.c. Inoltre si riteneva che gli enti non personificati fossero incapaci di succedere anche se poi si precisava che tale incapacità poteva essere rimossa con istanza di riconoscimento e, in quanto la disposizione era inefficace, si parlava di sospensione della delazione o di vacanza dell'eredità o di istituzione sotto condizione assimilando la disposizione a favore dell'ente di fatto alle disposizioni a favore di un concepito. Tale ricostruzione antropomorfa è stata ritenuta in tempi recenti non particolarmente significativa.
Secondo una prima concezione si distingueva il trattamento dell'ente costituito ma non ancora esistente giuridicamente da quello dell'ente non costituito neanche in fatto. Secondo una concezione ancora più possibilista si muoveva chi attribuiva agli enti non personificati ma già esistenti in fatto un'autonoma individualità e soggettività giuridica, di grado non inferiore a quella delle persone giuridiche riconosciute. Secondo questa seconda ricostruzione il problema dell'efficacia delle disposizioni testamentarie a favore di enti non riconosciuti tornava ad essere risolto con lo strumento tradizionale della condizione legale. Tale dibattito, seppur ormai sopito, è stato uno dei più vivaci e appassionati nella dottrina civilistica italiana.
Anche dopo l'abrogazione dell'art.600 tuttavia vi sono delle limitazioni per quanto concerne gli enti non esistenti neanche in fatto. La capacità di succedere delle persone giuridiche non riconosciute deve fare i conti con l'esistenza almeno in fatto del soggetto destinatario, rimanendo dunque la vocazione soggetta alla condizione dell'esistenza.
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ecclesiastico IX
Martin Lutero forma la prima eresia che produce una storia, una cultura e delle chiese.
Rappresenta egli il primo eretico importante a non andare a rogo. Egli ottiene una dimensione politica e sociale partendo dalla religione. Era un monaco agostiniano che viveva in germania del nord, visse un'intensa vita religiosa ed era fortemente osservante. Aveva una concezione cupa di dio, influenzato dall'ambiente circostante era assillato dalla salvezza postmortem.
Lutero era tormentato dalla questione della salvezza e riteneva che l'uomo non risaliva per le opere compiute ma per la sua fede in dio. La chiesa romana chiedeva un cammino di perfezione, secondo lutero invece il sacrificio di chi si ritirava in convento e il celibato erano inutili in quanto solo dio decideva la salvezza.
Cambia la concezione di dio e della chiesa. Lutero abolisce i monasteri e la vita religiosa. Abolisce l'accumulazione proprietaria e il celibato. Viene meno il concetto di sacerdote dedito alla sola comunità. In tanti aderiscono alla riforma e il papa viene visto come usurpatore di poteri che non gli spettano. Lutero traduce la bibbia e impone la lettura ai fedeli che possono trarne un'interpretazione libera. Sono aboliti la maggior parte dei sacramenti, mantenendo solo il battesimo e l'eucarestia. Vengono eliminate tutte le figure non citate dalle sacre scritture quali i santi, scompare il culto della madonna, scompare l'arte sacra e si condanna la raffigurazione.
Cambia la concezione di dio, si torna ad una concezione precristiana, vicina al paganesimo nordico. La figura di gesu cristo viene assorbita dal padre, vi è una minore mediazione tra dio e l'uomo a causa della predeterminazione.
Il principio della libera interpretazione delle scritture porta alla deflagrazione delle chiese: si formano centinaia di chiesei n continua mutazione. Nascono subito battisti e anabattisti, gli anglican e i quaqqueri. Calvino forma una delle chiese più intransigenti e bigotte, con forte rigore morale e controllo della persona molto forte.
Lutero fa scaturire un pluralismo, che egli non voleva. Gli anabattisti predicavano la radicalità della giustizia sociale e la separazione tra stato e cheisa facendo nascere le rivolte dei contadini.
Gli anabattisti alimentano l'antisocialità e danno vita a una comunità che porta all'unità dei beni e delle donne.
Lutero ottiene in pochi mesi un grande successo, in quanto in germania continuava a sentirsi l'origine precristiana, essendo essi convertiti da non piu di 500 anni. Non avviene il conflitto con lo stato, in quanto per la volontà dello stesso Lutero i beni passano allo stato. Ogni chiesa si lega al potere politico territoriale e la chiesa protestante perde cosi il carattere universale del cattolicesimo.
Rappresenta egli il primo eretico importante a non andare a rogo. Egli ottiene una dimensione politica e sociale partendo dalla religione. Era un monaco agostiniano che viveva in germania del nord, visse un'intensa vita religiosa ed era fortemente osservante. Aveva una concezione cupa di dio, influenzato dall'ambiente circostante era assillato dalla salvezza postmortem.
Lutero era tormentato dalla questione della salvezza e riteneva che l'uomo non risaliva per le opere compiute ma per la sua fede in dio. La chiesa romana chiedeva un cammino di perfezione, secondo lutero invece il sacrificio di chi si ritirava in convento e il celibato erano inutili in quanto solo dio decideva la salvezza.
Cambia la concezione di dio e della chiesa. Lutero abolisce i monasteri e la vita religiosa. Abolisce l'accumulazione proprietaria e il celibato. Viene meno il concetto di sacerdote dedito alla sola comunità. In tanti aderiscono alla riforma e il papa viene visto come usurpatore di poteri che non gli spettano. Lutero traduce la bibbia e impone la lettura ai fedeli che possono trarne un'interpretazione libera. Sono aboliti la maggior parte dei sacramenti, mantenendo solo il battesimo e l'eucarestia. Vengono eliminate tutte le figure non citate dalle sacre scritture quali i santi, scompare il culto della madonna, scompare l'arte sacra e si condanna la raffigurazione.
Cambia la concezione di dio, si torna ad una concezione precristiana, vicina al paganesimo nordico. La figura di gesu cristo viene assorbita dal padre, vi è una minore mediazione tra dio e l'uomo a causa della predeterminazione.
Il principio della libera interpretazione delle scritture porta alla deflagrazione delle chiese: si formano centinaia di chiesei n continua mutazione. Nascono subito battisti e anabattisti, gli anglican e i quaqqueri. Calvino forma una delle chiese più intransigenti e bigotte, con forte rigore morale e controllo della persona molto forte.
Lutero fa scaturire un pluralismo, che egli non voleva. Gli anabattisti predicavano la radicalità della giustizia sociale e la separazione tra stato e cheisa facendo nascere le rivolte dei contadini.
Gli anabattisti alimentano l'antisocialità e danno vita a una comunità che porta all'unità dei beni e delle donne.
Lutero ottiene in pochi mesi un grande successo, in quanto in germania continuava a sentirsi l'origine precristiana, essendo essi convertiti da non piu di 500 anni. Non avviene il conflitto con lo stato, in quanto per la volontà dello stesso Lutero i beni passano allo stato. Ogni chiesa si lega al potere politico territoriale e la chiesa protestante perde cosi il carattere universale del cattolicesimo.
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ecclesiastico VIII
Nel 1309 papa Clemente V si stabilisce ad avignone. La francia acquisisce l'egemonia anche sulla chiessa e il papato perde l'autorevolezza essendo influenzato dall'ambiente circostante.
La maggioranza dei cardinali erano francesci, quindi vi è la subalternità dei papi ai re di francia
Filippo il bello aveva chisto l'abolizione dell'ordine dei templari che erano stati il primo ordine militare religioso, problema della guerra era stato risolto da bernardo di chiaravalle secondo cui uccidere un musulmano nno era un omicidio ma un malicidio, dunque legittimo.
I templari grazie alla loro organizzazione ferrea dal punto di vista militare e finanziario riesce a diventare protagonista dello scenario politico. Diventano presto ricchissimi grazie alle donazioni, in quanto perseguivano il sogno della liberazione della terra santa. Si arricchiscono con i bottini di guerra e stabiliscono delle particolari regole economiche, impossibilitando i membri a rilevare ingenti somme di denaro dal patrimonio. Essendo inoltre esentati dalla giurisdizione episcopale, on erano giudicati che dal papa.
Filippo il bello fa arrestare tutti i dirigenti dei templari in una notte accusandoli di eresia e riti blasfemi, per i riti particolari che effettivamente essi avevano assunto, in particolare la presunta credenza per bafonet, derivante da maometto. Furono accusati di intelligenza con il nemico, di aver agito solo nel loro interesse. Dopo pochi giorni, grazie alla tortura, confessarono tutto.
Il processo è lungo, poi il papa si convince della loro colpevolezza e li mette a rogo, abolendo anche il loro ordine canonico. Filippo il bello incamera tutti i beni in francia, anche in Inghilterra accade lo stesso, mentre nella penisola iberica sono assolti e partecipano alle corciate sotto altro nome.
In cambio di ciò la chiesa non chiude mai il processo a Bonifacio VIII ed esclude gli effetti dell'unam sanctam per la francia. Certifica così la subalternità del papa nei confronti di un potere politico nazionale
Nel 1388 si deve eleggere l'imperatore, attraverso la dieta di francoforte. L'elezione è riservata ai principi tedeschi e non è necessaria l'approvazione pontificia. Il papa già depotenziato perde credibilità e col papato avignonese finisce la teocrazia in ogni sua forma.
Nel 1377 il papa torna a roma, con i cardinali epr lo piu francesi si era persa l'universalità e si erano formate delle fazioni interne. Dopo la morte del papa il conclave elegge un papa, ma viene dichiarata invalida l'elezione in quanto avvenuta sotto l'influenza del popolo. Si forma dunqeu un primo antipapa eletto dagli stessi cardinali. I cardinali delle opposte fazioni dunque si riuniscono a pisa e nel 1409 eleggono un nuovo papa, senza che però gli altri due si siano dimessi.
Si forma una frattura interna, una rottura giuridica. Si sviluppa un movimento conciliarista con base teologica. Il consiglio ecumenico dev'essere universale in quanto rappresenta gl i apostoli e sarebbe superiore al papa, avendo il potere di condannarlo per eresia.Viene organizzato il concilio di costanza con l'accordo di tutte le nazioni e l'accordo di tutti gli stati tra il 1414 e il 1417.
Haec sanctum sinodus prevede che il concilio riceve il proprio potere da cristo direttamente, ognuno è tenuto ad obbedirvi e il papa è parte del concilio, non è ad esso superiore.. Il concilio dev'essere celebrato ogni 5 anni, poi ogni 7 e a regime ogni 10 nei luoghi definiti dal pontefice o dal concilio.. Se vi sono 2 papi il concilio si riunisce entro un anno dall'inizio dello scisma.
Il papa ne uscirebbe subordinato al concilio, il papa diventa un amministratore, per quanto la chiesa non sia fondata su principi democratici.
Nel 1440 dopo costanza si riunisce il concilio di basilea che tratta il papa come un subalterno. Viene eletto un papa che è principe, Amedeo VIII che viene poi deposto. Il conciliarismo avrebbe portato all'assemblearismo e al separazionismo.
Agli inizi del '500 scoppia la riforma luterana o protestante che si contrappone alla chiesa romana formando una struttura propria. Dal protestantesimo però nascono continue nuove chiese e si crea un cristianesimo un cui un unico dio è diverso per ognuno.
La maggioranza dei cardinali erano francesci, quindi vi è la subalternità dei papi ai re di francia
Filippo il bello aveva chisto l'abolizione dell'ordine dei templari che erano stati il primo ordine militare religioso, problema della guerra era stato risolto da bernardo di chiaravalle secondo cui uccidere un musulmano nno era un omicidio ma un malicidio, dunque legittimo.
I templari grazie alla loro organizzazione ferrea dal punto di vista militare e finanziario riesce a diventare protagonista dello scenario politico. Diventano presto ricchissimi grazie alle donazioni, in quanto perseguivano il sogno della liberazione della terra santa. Si arricchiscono con i bottini di guerra e stabiliscono delle particolari regole economiche, impossibilitando i membri a rilevare ingenti somme di denaro dal patrimonio. Essendo inoltre esentati dalla giurisdizione episcopale, on erano giudicati che dal papa.
Filippo il bello fa arrestare tutti i dirigenti dei templari in una notte accusandoli di eresia e riti blasfemi, per i riti particolari che effettivamente essi avevano assunto, in particolare la presunta credenza per bafonet, derivante da maometto. Furono accusati di intelligenza con il nemico, di aver agito solo nel loro interesse. Dopo pochi giorni, grazie alla tortura, confessarono tutto.
Il processo è lungo, poi il papa si convince della loro colpevolezza e li mette a rogo, abolendo anche il loro ordine canonico. Filippo il bello incamera tutti i beni in francia, anche in Inghilterra accade lo stesso, mentre nella penisola iberica sono assolti e partecipano alle corciate sotto altro nome.
In cambio di ciò la chiesa non chiude mai il processo a Bonifacio VIII ed esclude gli effetti dell'unam sanctam per la francia. Certifica così la subalternità del papa nei confronti di un potere politico nazionale
Nel 1388 si deve eleggere l'imperatore, attraverso la dieta di francoforte. L'elezione è riservata ai principi tedeschi e non è necessaria l'approvazione pontificia. Il papa già depotenziato perde credibilità e col papato avignonese finisce la teocrazia in ogni sua forma.
Nel 1377 il papa torna a roma, con i cardinali epr lo piu francesi si era persa l'universalità e si erano formate delle fazioni interne. Dopo la morte del papa il conclave elegge un papa, ma viene dichiarata invalida l'elezione in quanto avvenuta sotto l'influenza del popolo. Si forma dunqeu un primo antipapa eletto dagli stessi cardinali. I cardinali delle opposte fazioni dunque si riuniscono a pisa e nel 1409 eleggono un nuovo papa, senza che però gli altri due si siano dimessi.
Si forma una frattura interna, una rottura giuridica. Si sviluppa un movimento conciliarista con base teologica. Il consiglio ecumenico dev'essere universale in quanto rappresenta gl i apostoli e sarebbe superiore al papa, avendo il potere di condannarlo per eresia.Viene organizzato il concilio di costanza con l'accordo di tutte le nazioni e l'accordo di tutti gli stati tra il 1414 e il 1417.
Haec sanctum sinodus prevede che il concilio riceve il proprio potere da cristo direttamente, ognuno è tenuto ad obbedirvi e il papa è parte del concilio, non è ad esso superiore.. Il concilio dev'essere celebrato ogni 5 anni, poi ogni 7 e a regime ogni 10 nei luoghi definiti dal pontefice o dal concilio.. Se vi sono 2 papi il concilio si riunisce entro un anno dall'inizio dello scisma.
Il papa ne uscirebbe subordinato al concilio, il papa diventa un amministratore, per quanto la chiesa non sia fondata su principi democratici.
Nel 1440 dopo costanza si riunisce il concilio di basilea che tratta il papa come un subalterno. Viene eletto un papa che è principe, Amedeo VIII che viene poi deposto. Il conciliarismo avrebbe portato all'assemblearismo e al separazionismo.
Agli inizi del '500 scoppia la riforma luterana o protestante che si contrappone alla chiesa romana formando una struttura propria. Dal protestantesimo però nascono continue nuove chiese e si crea un cristianesimo un cui un unico dio è diverso per ognuno.
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ecclesiastico V
Confessionismo societario. Nella res publica c'è una rete di rapporti dove l'etica cristiana ha valenza diretta o indiretta. Le visite pastorali consistevano in interventi periodici dei vescovi abbati nelle diverse località che intervenivano circa la catechesi e l'informativa sulla vita morale del luogo.
Rappresenta una forma di controllo sociale con cui si cerca di affinare i costumi dei fedeli e del clero che ha una valenza indiretta attraverso gli strumenti della censura e della scomunica ceh comportava l'estraniazione dalla ocmunita e la perdita dei diritti del civis fidelis.
Lo scomunicato vitandum est, va tenuto lontano dagli altri e porta alla morte civile.
Nasce la società europea, nascono gli scritti sui costumi morali, si affinano i costumi, la chiesa aumenta la ricchezza diventando quasi uno stato nello stato.
Nasce la regola dell'accumulazione dei beni immobiliari acquisiti, senza lo possibilità di venderli.
Obbligo per chi ha reddito di pagare una decima alle parrocchie in cambio dei servizi offerti.
La chiesa assume cupidigia e si creano decime monasterali e papali per le piu disparate evenienze.
Tali comportamenti formano le basi della sofferenza della comunità.
Nascono le chiese costruite con l'istituto del patronato, che permette di costruire grandi strutture finanziate dal patrono. Il patrono assume diritti e facoltà minori rispetto alla proprietà che rimane all'ente ecclesiastico.
Al vescovo è data potestà di arbitrato per questioni con un soggetto cattolico, è data rilevanza esclusiva al tribunale ecclesiastico circa determinate materie.
In caso di controversia tra ecclesiastici si ricorre al vescovo o ,col suo assenso, a un arbitr oscelto in comune.
Nasce la giurisdizione domestica che esclude quella civile.
Aumentano a dismisura le materie e i soggetti sottoposti alla giurisdizione ecclesiastica creando un forte disagio per i laici. La chiesa diventa sempre piu uno stato nello stato.
Rappresenta una forma di controllo sociale con cui si cerca di affinare i costumi dei fedeli e del clero che ha una valenza indiretta attraverso gli strumenti della censura e della scomunica ceh comportava l'estraniazione dalla ocmunita e la perdita dei diritti del civis fidelis.
Lo scomunicato vitandum est, va tenuto lontano dagli altri e porta alla morte civile.
Nasce la società europea, nascono gli scritti sui costumi morali, si affinano i costumi, la chiesa aumenta la ricchezza diventando quasi uno stato nello stato.
Nasce la regola dell'accumulazione dei beni immobiliari acquisiti, senza lo possibilità di venderli.
Obbligo per chi ha reddito di pagare una decima alle parrocchie in cambio dei servizi offerti.
La chiesa assume cupidigia e si creano decime monasterali e papali per le piu disparate evenienze.
Tali comportamenti formano le basi della sofferenza della comunità.
Nascono le chiese costruite con l'istituto del patronato, che permette di costruire grandi strutture finanziate dal patrono. Il patrono assume diritti e facoltà minori rispetto alla proprietà che rimane all'ente ecclesiastico.
Al vescovo è data potestà di arbitrato per questioni con un soggetto cattolico, è data rilevanza esclusiva al tribunale ecclesiastico circa determinate materie.
In caso di controversia tra ecclesiastici si ricorre al vescovo o ,col suo assenso, a un arbitr oscelto in comune.
Nasce la giurisdizione domestica che esclude quella civile.
Aumentano a dismisura le materie e i soggetti sottoposti alla giurisdizione ecclesiastica creando un forte disagio per i laici. La chiesa diventa sempre piu uno stato nello stato.
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ecclesiastico VI
La res publica gentium cristianarum nasce dalla riforma gregoriana, nasce l'inquisizione, ce sarà propria di tutto il cristianesimo protestante e cattolico.
Fu utilizzata anche dalla giurisdizione civile ma è la chiesa ad avere la maggior responsabilità in quanto impersonava e professava valori del vangelo.
La condanna degli eretici fu introdotta da teodosio, i processi e le condanne erano compito dei vescovi in quanto capi delle diocesi che conoscevano la realtà locale e gli eretici personalmente.
La condanna interveniva quando l'eresia era socialmente pericolosa, con l'inquisizione il fenomeno diventa piu individiuale.
Le eresie che trovavano maggior successo erano quelle pauperistiche, quelle che negavano il celibato dei preti o si opponevano alla scarsa moralità del clero.
Nasce l'eresia di pietro valdo, che darà vita ai valdesi, unica chiesa italiana protestante, anticipando di tre secoli la riforma di martin lutero..
L'eresia rappresenta un problema di disobbedienza civile.
L'eresia dei catari o degli albigesi trova origine nel manicheismo, secondo essa gli uomini sono incapaci di seguire i beni tranne i perfetti che avevano il comando su tutti. Ideologia fortemente pessimista con scarso attaccamento al cristianesimo.
Gli albigesi furono sterminati quando divennero uno stato nello stato.
Ci si preoccupò di affidare la lotta all'eresia non solo ai vescovi. L'inquisizione nasce come un tribunale speciale itinerante formato da legati papali che si dedicavano ad esso a tempo pieno.
Questi andavano a cercare il reato secondo un principio inquisitorio, non intervenivano solo dove vi fosse notizia di reato. Essi si stabilivano in un posto e agivano attraverso l'editto di fede o di grazia.
Attraverso l'editto di fede si dichiarava l'eresia rispetto a una verità di fede.
Attraverso l'editto di grazia si denunciavano gli eretici all'autorità.
Nasce il principio della denuncia anonima, l'eretico veniva arrestato e poteva confessarsi o pentirsi ottenendo una penitenza lieve senza che fosse possibile un contraddittorio con l'accusa.
Era un processo a porte chiuse senza estranei in cu isi faceva uso della tortura che portava tutti a confessare anche se i reati non erano commessi.
Le condanne variavano, fino alla pena di morte, ma queste erano messe in pratica non dalla chiesa, bensì dal braccio secolare. Come pene accessorie erano previsti il sequestro dei beni dell'accusato con la distribuzione agli accusatori. I figli dell'eretico condannato non potevano essere preti.
In spagna fu messa in pratica da torque mada un'inquisizione aprticolare in quanto arriva secoli dopo rispoetto a quella normale. Nel '400 quando fu completata la riconquista a scapito dei mori rimasero delle sacche di musulmani e ebrei che furono costretti ad espatriare o a convertirsi, veramente o fittiziamente. Nei fatti intere comunità di musulmani e ebrei continuarono a esercitare la propria religione e vennero soprannominati moriscos o marrani.
L'inquisizione colpiva gli eretici, e quindi cadevano sotto il suo giudizio quanti si erano convertiti al cristianesimo, facendo una pulizia etnico confessionale. La spagna diventa così compattamente cattolica.
Qualunque organizzazione militare a favore della fede era detta crociata, dalle lotte contro glie ebrei a quelle dei cavalieri teutonici contro il paganesimo.
570-632 vive Maometto, in pochi anno vengono conquistati grandi territori.
Gli arabi ottengono subito da maometto un inquadramento militare. Conquistata la penisola arabica dal medio oriente arrivano all'africa mediterranea, mentre non si sapeva che stava espandendosi una nuova religone monoteista.
In quei territori l'occupazione islamica era vista come una liberazione dal potere opprimente di costantinopoli. Ne nasce l'idea della razza islamica che si contrappone rispetto al paganesimo e obbliga a lla conversione o alla messa a morte. Per i cristiani e gli ebrei, in quanto seguaci del libro, era riconosciuta qualche validità. Erano essi infatti tollerati ma subordinati ai musulmani, la loro condizione era detta Dimmitudine. I dimmi dovevano pagare una tassa personale detta testatico. Ma erano soggetti alla loro legge, non alla sharia. Cominciano le conversioni per non pagare il testatico.
Ogni volta che sorgevano dei problemi i cristiani ed ebrei erano additati a colpevoli, quindi la tolleranza maggiore sta nella dimmitudine che però nei fatti poneva la condizione degli ebrei non diversa da quella occidentale.
L'islamismo introduce poi il principio che toglie la libertà religiosa, i musulmani non possono convertirsi altrimenti sono messi a morte.
Fu utilizzata anche dalla giurisdizione civile ma è la chiesa ad avere la maggior responsabilità in quanto impersonava e professava valori del vangelo.
La condanna degli eretici fu introdotta da teodosio, i processi e le condanne erano compito dei vescovi in quanto capi delle diocesi che conoscevano la realtà locale e gli eretici personalmente.
La condanna interveniva quando l'eresia era socialmente pericolosa, con l'inquisizione il fenomeno diventa piu individiuale.
Le eresie che trovavano maggior successo erano quelle pauperistiche, quelle che negavano il celibato dei preti o si opponevano alla scarsa moralità del clero.
Nasce l'eresia di pietro valdo, che darà vita ai valdesi, unica chiesa italiana protestante, anticipando di tre secoli la riforma di martin lutero..
L'eresia rappresenta un problema di disobbedienza civile.
L'eresia dei catari o degli albigesi trova origine nel manicheismo, secondo essa gli uomini sono incapaci di seguire i beni tranne i perfetti che avevano il comando su tutti. Ideologia fortemente pessimista con scarso attaccamento al cristianesimo.
Gli albigesi furono sterminati quando divennero uno stato nello stato.
Ci si preoccupò di affidare la lotta all'eresia non solo ai vescovi. L'inquisizione nasce come un tribunale speciale itinerante formato da legati papali che si dedicavano ad esso a tempo pieno.
Questi andavano a cercare il reato secondo un principio inquisitorio, non intervenivano solo dove vi fosse notizia di reato. Essi si stabilivano in un posto e agivano attraverso l'editto di fede o di grazia.
Attraverso l'editto di fede si dichiarava l'eresia rispetto a una verità di fede.
Attraverso l'editto di grazia si denunciavano gli eretici all'autorità.
Nasce il principio della denuncia anonima, l'eretico veniva arrestato e poteva confessarsi o pentirsi ottenendo una penitenza lieve senza che fosse possibile un contraddittorio con l'accusa.
Era un processo a porte chiuse senza estranei in cu isi faceva uso della tortura che portava tutti a confessare anche se i reati non erano commessi.
Le condanne variavano, fino alla pena di morte, ma queste erano messe in pratica non dalla chiesa, bensì dal braccio secolare. Come pene accessorie erano previsti il sequestro dei beni dell'accusato con la distribuzione agli accusatori. I figli dell'eretico condannato non potevano essere preti.
In spagna fu messa in pratica da torque mada un'inquisizione aprticolare in quanto arriva secoli dopo rispoetto a quella normale. Nel '400 quando fu completata la riconquista a scapito dei mori rimasero delle sacche di musulmani e ebrei che furono costretti ad espatriare o a convertirsi, veramente o fittiziamente. Nei fatti intere comunità di musulmani e ebrei continuarono a esercitare la propria religione e vennero soprannominati moriscos o marrani.
L'inquisizione colpiva gli eretici, e quindi cadevano sotto il suo giudizio quanti si erano convertiti al cristianesimo, facendo una pulizia etnico confessionale. La spagna diventa così compattamente cattolica.
Qualunque organizzazione militare a favore della fede era detta crociata, dalle lotte contro glie ebrei a quelle dei cavalieri teutonici contro il paganesimo.
570-632 vive Maometto, in pochi anno vengono conquistati grandi territori.
Gli arabi ottengono subito da maometto un inquadramento militare. Conquistata la penisola arabica dal medio oriente arrivano all'africa mediterranea, mentre non si sapeva che stava espandendosi una nuova religone monoteista.
In quei territori l'occupazione islamica era vista come una liberazione dal potere opprimente di costantinopoli. Ne nasce l'idea della razza islamica che si contrappone rispetto al paganesimo e obbliga a lla conversione o alla messa a morte. Per i cristiani e gli ebrei, in quanto seguaci del libro, era riconosciuta qualche validità. Erano essi infatti tollerati ma subordinati ai musulmani, la loro condizione era detta Dimmitudine. I dimmi dovevano pagare una tassa personale detta testatico. Ma erano soggetti alla loro legge, non alla sharia. Cominciano le conversioni per non pagare il testatico.
Ogni volta che sorgevano dei problemi i cristiani ed ebrei erano additati a colpevoli, quindi la tolleranza maggiore sta nella dimmitudine che però nei fatti poneva la condizione degli ebrei non diversa da quella occidentale.
L'islamismo introduce poi il principio che toglie la libertà religiosa, i musulmani non possono convertirsi altrimenti sono messi a morte.
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ecclesiastico VII
La conquista islamica viene ridotta attraverso la riconquista della penisola iberica, mentre ad oriente nel 1453 avviene la conquista di costantinopoli.
La res publica gentium cristianarum è un esempio di teocrazioa che inizia con Gregorio VII il quale stabilisce che il papa ha il potere di deporre l'imperatore. La chiesa altera e superba fonda l'europa unita insieme all'impero.
Non è teocrazia competa in quanto manca la sostituzione con l'imperatore. Si mantengono separati i due soli ma il papato ritiene di avere un'influenza politica sull'imperatore per ragioni giuridiche e religose. Il papa per colpire usa la scomunica, che può essere ritirata. La radice giuridica del potere sarebbe invece in un passo evangelico secondo cui attraverso il sacramento sulla penitenza vi sarebbe il potere di assolvere e condannare le persone.
La dimesione pubblica e privata dell'umperatore si confondono, il papa chiede all'imperatore che egli rimedi alle proprie colpe, altrimenti seguirà la scomunica.
Federico II ottiene varie scomuniche in quanto, dopo aver promesso una crociata, rimane infedele alla promessa e poi, dopo esser partito, torna per una tempesta. Alla fine, conquista gerusalemme attraverso un compromesso coi musulmani che erano rimasti impressionati dal suo esercito, ma il papa lo scomunica di nuovo per non aver combattuto.
Di nuovo quando egli voleva prendere il posto del defunto re delle due sicilie egli vien escomunicato per aver attentato ai diritti della vedova.
La chiesa voleva un re che seguisse i loro dettami, dietro il principio evangelico si celava sempre quello politico.
Federico II allora scrive una lettera ai re nazionali protestando per la situazione nei confronti del papato e sostenendo la derivazione divina del potere imperiale. Filippo II va contro il papa e vince, inaspettatamente per Federico II.
Motivo per affermare il proprio potere secondo il principio evangelico della peniteza, che cela sempre quello politico.
Secondo gelasio due poteri governano il mondo e la chiesa tutela la salute spirituale dell'umpero.
Attraverso Gregorio VII il principio diventa giuridicamente cogente.
La teocrazia porta ad una escalation di legittimazione di potere. Affermazioni che allargavano il potere papale non erano sempre credibili.
Innocenzo II porta al massimo i poteri che della auctoritas pontificia che si estende a tutto, su tutte le cose e le persone. La teocrazia viene portata al suo più grande punto e alla massima superbia.
Per il sacerdozio si imporrebbe l'obbligo di governare spiritualmente e temporalmente, in quanto l'autorità spirituale è piu antica,nobile e estesa di quella civile.
Il sacerdozio precede l'impero, Leone III incorona il re ed è dunque fonte del potere. Innocenzo riesuma tale potere, l'impero è subordinato in quanto il potere è legittimato e delegittimabile dal papa. Il papato assume una posizone intermedia tra dio e l'uomo.
Gregorio IX porta la donazione di costantino, falstià assoluta, secondo cui d'accordo col senato e col popolo costantino decise che il papato aveva un potere mondiale. In tal modo Gregorio aveva messo la teocrazia in mano a costantino, dunque sarebbe stata l'egittimata dall'impero stesso.
Segue poi il declino e la fine della teocrazia. La teocrazia non ha piu ragion d'essere quando ai due poteri di papato e impero si aggiunge il potere nazionale.
Il conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il bello segna la fine della teocrazia. Prima di Bonifacio VIII c'era Celestino V, costretto a dimettersi e fatto santo nel 1313, Bonifacio fu accusato di simonia dai cardinali Colonna. Si formarono lotte tra fazioni e Filippo il bello impose una tassa anche per gli ecclesiastici. Seguì dunque la bolla clerici laicos, che poneva il divieto per i principi di imporre gravami sui beni ecclesiastici. Ordina ai chierici di non pagare le tasse e scomunica chi le impone.
Filippo il bello dichiara che al Re spetta tutto il governo territoriale e che non riconosce alcuna entità superiore e non intende sottoporsi ad alcuno per qunto riguarda il potere temporale.
Bonifacio VIII fa la bolla ausculta filii con cui espone le tesi teocratiche classiche e filippo il bello convoca gli stati generali, compreso il clero, che è costretto a legittimare il suo comportamento.
Nasce da qui l'indipendenza della chiesa francese, detto gallicanesimo, rispetto a quella di roma.
Ulteriore bolla, la unam sanctam, che è documento di massima espressione della teocrazia, secondo cui esistono due spade, entrambe della chiesa una utilizzata direttamente e l'altra in mano al re ma per delega della chiesa. Per la salvezza è necessario essere sottomessi al papa, e non a dio.
Filippo il bello compie l oschiaffo di Anagni, manda un drappello di persone ad anagni e assedia il palazzo pontificio, viene fatto prigioniero il papa, viene liberato e muore.
Il re difrancia chiede un processo post mortem per simonia e colpe contro la francia, chiede di ritirare inoltre l'unam sanctam, con condanna e abolizione dell'ordine dei templari.
Clemente V, a quattro anni dalla morte di Bonifacio, va ad avignone fino al 1377. Filippo il bello ha il papa nelle proprie mani, si consuma la teocrazia e inizia il declino del papato. Protagonisti dell astoria diventano i re nazionali.
La res publica gentium cristianarum è un esempio di teocrazioa che inizia con Gregorio VII il quale stabilisce che il papa ha il potere di deporre l'imperatore. La chiesa altera e superba fonda l'europa unita insieme all'impero.
Non è teocrazia competa in quanto manca la sostituzione con l'imperatore. Si mantengono separati i due soli ma il papato ritiene di avere un'influenza politica sull'imperatore per ragioni giuridiche e religose. Il papa per colpire usa la scomunica, che può essere ritirata. La radice giuridica del potere sarebbe invece in un passo evangelico secondo cui attraverso il sacramento sulla penitenza vi sarebbe il potere di assolvere e condannare le persone.
La dimesione pubblica e privata dell'umperatore si confondono, il papa chiede all'imperatore che egli rimedi alle proprie colpe, altrimenti seguirà la scomunica.
Federico II ottiene varie scomuniche in quanto, dopo aver promesso una crociata, rimane infedele alla promessa e poi, dopo esser partito, torna per una tempesta. Alla fine, conquista gerusalemme attraverso un compromesso coi musulmani che erano rimasti impressionati dal suo esercito, ma il papa lo scomunica di nuovo per non aver combattuto.
Di nuovo quando egli voleva prendere il posto del defunto re delle due sicilie egli vien escomunicato per aver attentato ai diritti della vedova.
La chiesa voleva un re che seguisse i loro dettami, dietro il principio evangelico si celava sempre quello politico.
Federico II allora scrive una lettera ai re nazionali protestando per la situazione nei confronti del papato e sostenendo la derivazione divina del potere imperiale. Filippo II va contro il papa e vince, inaspettatamente per Federico II.
Motivo per affermare il proprio potere secondo il principio evangelico della peniteza, che cela sempre quello politico.
Secondo gelasio due poteri governano il mondo e la chiesa tutela la salute spirituale dell'umpero.
Attraverso Gregorio VII il principio diventa giuridicamente cogente.
La teocrazia porta ad una escalation di legittimazione di potere. Affermazioni che allargavano il potere papale non erano sempre credibili.
Innocenzo II porta al massimo i poteri che della auctoritas pontificia che si estende a tutto, su tutte le cose e le persone. La teocrazia viene portata al suo più grande punto e alla massima superbia.
Per il sacerdozio si imporrebbe l'obbligo di governare spiritualmente e temporalmente, in quanto l'autorità spirituale è piu antica,nobile e estesa di quella civile.
Il sacerdozio precede l'impero, Leone III incorona il re ed è dunque fonte del potere. Innocenzo riesuma tale potere, l'impero è subordinato in quanto il potere è legittimato e delegittimabile dal papa. Il papato assume una posizone intermedia tra dio e l'uomo.
Gregorio IX porta la donazione di costantino, falstià assoluta, secondo cui d'accordo col senato e col popolo costantino decise che il papato aveva un potere mondiale. In tal modo Gregorio aveva messo la teocrazia in mano a costantino, dunque sarebbe stata l'egittimata dall'impero stesso.
Segue poi il declino e la fine della teocrazia. La teocrazia non ha piu ragion d'essere quando ai due poteri di papato e impero si aggiunge il potere nazionale.
Il conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il bello segna la fine della teocrazia. Prima di Bonifacio VIII c'era Celestino V, costretto a dimettersi e fatto santo nel 1313, Bonifacio fu accusato di simonia dai cardinali Colonna. Si formarono lotte tra fazioni e Filippo il bello impose una tassa anche per gli ecclesiastici. Seguì dunque la bolla clerici laicos, che poneva il divieto per i principi di imporre gravami sui beni ecclesiastici. Ordina ai chierici di non pagare le tasse e scomunica chi le impone.
Filippo il bello dichiara che al Re spetta tutto il governo territoriale e che non riconosce alcuna entità superiore e non intende sottoporsi ad alcuno per qunto riguarda il potere temporale.
Bonifacio VIII fa la bolla ausculta filii con cui espone le tesi teocratiche classiche e filippo il bello convoca gli stati generali, compreso il clero, che è costretto a legittimare il suo comportamento.
Nasce da qui l'indipendenza della chiesa francese, detto gallicanesimo, rispetto a quella di roma.
Ulteriore bolla, la unam sanctam, che è documento di massima espressione della teocrazia, secondo cui esistono due spade, entrambe della chiesa una utilizzata direttamente e l'altra in mano al re ma per delega della chiesa. Per la salvezza è necessario essere sottomessi al papa, e non a dio.
Filippo il bello compie l oschiaffo di Anagni, manda un drappello di persone ad anagni e assedia il palazzo pontificio, viene fatto prigioniero il papa, viene liberato e muore.
Il re difrancia chiede un processo post mortem per simonia e colpe contro la francia, chiede di ritirare inoltre l'unam sanctam, con condanna e abolizione dell'ordine dei templari.
Clemente V, a quattro anni dalla morte di Bonifacio, va ad avignone fino al 1377. Filippo il bello ha il papa nelle proprie mani, si consuma la teocrazia e inizia il declino del papato. Protagonisti dell astoria diventano i re nazionali.
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ecclesiastico III
Nel monastero di cluny, centro della riforma, i monaci cambiano la regola benedettina dell'hora et labora dedicando il loro tempo alla sola preghiera. La coincidenza con il periodo in cui si consolida l'idea dell'esistenza del purgatorio fa la fortuna degli stessi monaci.
Il purgatorio, non previsto originalmente, rappresenta uno stato temporaneo in cui le anime non perfette vengno purificate e la preghiera diventa cosi strumento utile alla purificazione.
I monaci di cluny, dietro ricompensa, dedicano le preghiere alle anime del purgatorio e fanno contratti con le famiglie relai per pregare i loro defunti in cambio di denaro e del riconoscimento della giuridicità dello stesso monastero. Si crea in breve tempo un forte commercio che porta i monaci a una specializzazione della preghiera e all'istituzione di un giorno in cui si pregano tutte le anime, il giorno dei morti.
La ricchezza porta però alla superbia e spunta cosi la figura di Bernardo di Chiaravalle che si oppone a cluny e riporta la regola benedettina fondando l'ordine dei cistercensi, che porta al declino di cluny.
La prima tappa verso la riforma è realizzata da nicolò II nel 1057 che pone tre punti centrali
1.liberare la chiesa dalla soggezione al potere politico feudale
2.riforma morale della chiesa e del clero
3.rinascita del papato come istituzione libera e autonoma da ogni potere.
NicolòII cambia il modo di elezione del papa, prima eletto da popolo clero e cardinali, dichiarando che il papa fosseeletto dal clero e da icardinali vescovi. Se altri soggetti fossero intervenuti questi erano colpiti da scomunica e invalidavano l'elezione. Se vi fossero stati tumulti da parte del popolo i cardinali dovevano riunirsi dove non potevano piu subire l'influenza.
La chiesa si riappropria dell'elezione del papa.
I cardinali che erano fino ad allora preti collaboratori del vescovo di roma acquistano da quel momento una funzione piu importante.
Nasce il conclave inteso come riunione a porte chiuse e l'autoreferenzialità del papato.
Una volta eletto il papa se ne da informazione all'imperatore, cnacellando cosi ogni elemento di cesaropapismo.
Il secondo punto della riforma riguarda il celibato ecclesiastico. San Paolo preferisce all'episcopato i non sposati, tale regola era comnuqeu seguita dai vescovi generalmente. Non avendo famglia questi alla loro morte non distribuivano l'eredità e inoltre senza famiglia potevano dedicare interamente il loro tempo alla chiesa.
In libano esiste la chiesa maronita in cui i preti si sposano ed essa è riconosciuta da roma. Gli anglicani possono tornare ad essere cattolici e mantenere il matrimonio.
Il purgatorio, non previsto originalmente, rappresenta uno stato temporaneo in cui le anime non perfette vengno purificate e la preghiera diventa cosi strumento utile alla purificazione.
I monaci di cluny, dietro ricompensa, dedicano le preghiere alle anime del purgatorio e fanno contratti con le famiglie relai per pregare i loro defunti in cambio di denaro e del riconoscimento della giuridicità dello stesso monastero. Si crea in breve tempo un forte commercio che porta i monaci a una specializzazione della preghiera e all'istituzione di un giorno in cui si pregano tutte le anime, il giorno dei morti.
La ricchezza porta però alla superbia e spunta cosi la figura di Bernardo di Chiaravalle che si oppone a cluny e riporta la regola benedettina fondando l'ordine dei cistercensi, che porta al declino di cluny.
La prima tappa verso la riforma è realizzata da nicolò II nel 1057 che pone tre punti centrali
1.liberare la chiesa dalla soggezione al potere politico feudale
2.riforma morale della chiesa e del clero
3.rinascita del papato come istituzione libera e autonoma da ogni potere.
NicolòII cambia il modo di elezione del papa, prima eletto da popolo clero e cardinali, dichiarando che il papa fosseeletto dal clero e da icardinali vescovi. Se altri soggetti fossero intervenuti questi erano colpiti da scomunica e invalidavano l'elezione. Se vi fossero stati tumulti da parte del popolo i cardinali dovevano riunirsi dove non potevano piu subire l'influenza.
La chiesa si riappropria dell'elezione del papa.
I cardinali che erano fino ad allora preti collaboratori del vescovo di roma acquistano da quel momento una funzione piu importante.
Nasce il conclave inteso come riunione a porte chiuse e l'autoreferenzialità del papato.
Una volta eletto il papa se ne da informazione all'imperatore, cnacellando cosi ogni elemento di cesaropapismo.
Il secondo punto della riforma riguarda il celibato ecclesiastico. San Paolo preferisce all'episcopato i non sposati, tale regola era comnuqeu seguita dai vescovi generalmente. Non avendo famglia questi alla loro morte non distribuivano l'eredità e inoltre senza famiglia potevano dedicare interamente il loro tempo alla chiesa.
In libano esiste la chiesa maronita in cui i preti si sposano ed essa è riconosciuta da roma. Gli anglicani possono tornare ad essere cattolici e mantenere il matrimonio.
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ecclesiastico IV
L'imperatore nomina il patriarca a costantinopoli.
Cesaropapismo dipende da condizionamento complessivo dello stato, non solo sulle nomine
roma si sta emancipando da condizionamenti. Si rende comto che feudalesimo avrebbe portato a crisi di chiesa.
Riforma gregoriana crea chiesa come la conosciamo oggi. Indipendenza della chiesa principio opposto di subalternità di chiese orientali
documento:dictatus papae.
Scritto da gregorio VII trovato nel carteggio personale del papa. Memoria con scritti punti (28) dove si indicavano poteri del papa.non ha valore ufficiale ma scritto tanto bene da indicare principi effettivi del primato papale. Poteri non astratti ma reali. Prontuario per il papa che gli permette di agire su quella base.
Nasce teocrazia con gregorio VII e finisce con bonifacio VIII(200-300) sconfitto da filippo il bello.
Primato pontificio vero è quello interno alla chiesa. Teocrazia è nei confronti dell'impero.
Dictatus papae va pensato guardando alle origini della chiesa.
1.Chiesa romana fondata solo dal signore.
2.solo pontefice romano è universale. Potere su tutti i cristiani(uomini)
3.egli soltanto può deporre o assolvere un vescovo.vescovo ha fondamento divino. Affermazione pesante.potere massimo.
4.solo il papa può fare nuove leggi fondare nuove diocesi dividere unire vescovato . Papa ha potere legislativo universale assoluto e potere esecutivo e amministrativo. Tutto dentro la chiesa.
5.Solo il papa può usare insegne imperiali. Contro principio di gelasio che divideva impero e chiesa.
12.gli è consentito di deporre l'imperatore imperatore a livello di vescovo. nasce conflitto impero papato.
Xx.potere sul concilio
Xx.Nessun testo è ritenuto canonico senza la sua autorità.
Xx.sentenza non può essere riformata da nessuno. Lui può riformare quella di tutti.
Nessuno può giudicare il papa. principio
per cui tutti i fedeli possono ricorrere al papa.
Vertigine del potere arriva al papato. Si sente libero dalle leggi, superbia e dopo si casca.
22.chiesa romana non ha mai errato e non potrà mai errare. Solo dal punto di vista della fede? 1870 infallibilità del papa diversa ma ugualmente pericolosa
qui problema del papa che si sente interprete unico della chiesa
Xx.chi non concorda con chiesa romana non è cattolico.
Tutto questo sfocia nell'anticattolicesimo e riforma protestante
Xx. Papa può sciogliere sudditi dal giuramento di fedeltà fatto da indegni
ribadisce potere politico. Papa può scomunicare imperatori o simili.
Riaffermate le attribuzioni del primato al potere pontificio.
Res pubblica gentium cristianarum
nasce vero ordinamento con caratteri forti e netti.
Nasce unità giuridica e in parte linguistica che si sostituisce piano piano a selvaggità precedente. Momento di grande rinascita con l'impero cristiano.
Principi della res publica
impero e cristianesimo hanno fini comuni con ruoli complementari. Riconoscimento reciproco forma nuova e più forte di unionismo.
Impero d'oriente si riduce per causa dell'islam.
Impero d'occidente collabora con chiesa.
Lex canonica acquista stesso colore della legge dello stato. Acquista valore automaticamente. Papa fonte del diritto.
Supremazia papale ha valenza civile.
Civis fidelis cittadino e fedele insieme.
Molti doveri religiosi divengono doveri civili. Anagrafe era canonica, poteri esercitati da chiesa al posto e per il civile.
Cesaropapismo dipende da condizionamento complessivo dello stato, non solo sulle nomine
roma si sta emancipando da condizionamenti. Si rende comto che feudalesimo avrebbe portato a crisi di chiesa.
Riforma gregoriana crea chiesa come la conosciamo oggi. Indipendenza della chiesa principio opposto di subalternità di chiese orientali
documento:dictatus papae.
Scritto da gregorio VII trovato nel carteggio personale del papa. Memoria con scritti punti (28) dove si indicavano poteri del papa.non ha valore ufficiale ma scritto tanto bene da indicare principi effettivi del primato papale. Poteri non astratti ma reali. Prontuario per il papa che gli permette di agire su quella base.
Nasce teocrazia con gregorio VII e finisce con bonifacio VIII(200-300) sconfitto da filippo il bello.
Primato pontificio vero è quello interno alla chiesa. Teocrazia è nei confronti dell'impero.
Dictatus papae va pensato guardando alle origini della chiesa.
1.Chiesa romana fondata solo dal signore.
2.solo pontefice romano è universale. Potere su tutti i cristiani(uomini)
3.egli soltanto può deporre o assolvere un vescovo.vescovo ha fondamento divino. Affermazione pesante.potere massimo.
4.solo il papa può fare nuove leggi fondare nuove diocesi dividere unire vescovato . Papa ha potere legislativo universale assoluto e potere esecutivo e amministrativo. Tutto dentro la chiesa.
5.Solo il papa può usare insegne imperiali. Contro principio di gelasio che divideva impero e chiesa.
12.gli è consentito di deporre l'imperatore imperatore a livello di vescovo. nasce conflitto impero papato.
Xx.potere sul concilio
Xx.Nessun testo è ritenuto canonico senza la sua autorità.
Xx.sentenza non può essere riformata da nessuno. Lui può riformare quella di tutti.
Nessuno può giudicare il papa. principio
per cui tutti i fedeli possono ricorrere al papa.
Vertigine del potere arriva al papato. Si sente libero dalle leggi, superbia e dopo si casca.
22.chiesa romana non ha mai errato e non potrà mai errare. Solo dal punto di vista della fede? 1870 infallibilità del papa diversa ma ugualmente pericolosa
qui problema del papa che si sente interprete unico della chiesa
Xx.chi non concorda con chiesa romana non è cattolico.
Tutto questo sfocia nell'anticattolicesimo e riforma protestante
Xx. Papa può sciogliere sudditi dal giuramento di fedeltà fatto da indegni
ribadisce potere politico. Papa può scomunicare imperatori o simili.
Riaffermate le attribuzioni del primato al potere pontificio.
Res pubblica gentium cristianarum
nasce vero ordinamento con caratteri forti e netti.
Nasce unità giuridica e in parte linguistica che si sostituisce piano piano a selvaggità precedente. Momento di grande rinascita con l'impero cristiano.
Principi della res publica
impero e cristianesimo hanno fini comuni con ruoli complementari. Riconoscimento reciproco forma nuova e più forte di unionismo.
Impero d'oriente si riduce per causa dell'islam.
Impero d'occidente collabora con chiesa.
Lex canonica acquista stesso colore della legge dello stato. Acquista valore automaticamente. Papa fonte del diritto.
Supremazia papale ha valenza civile.
Civis fidelis cittadino e fedele insieme.
Molti doveri religiosi divengono doveri civili. Anagrafe era canonica, poteri esercitati da chiesa al posto e per il civile.
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ecclesiastico I
leone I pone la plenitudo potestatis e la successio petrina ocme espressione della giuridicizzazione del cristianesimo. I vescovi succedono agli apostoli secondo la successio organica mentre pietro che è il fondatore ha come eredi successori i vescovi di roma dopo di lui secondo la successio istituzionale.
Leone I pone i poteri del vescovo di roma come superiori rispetto al colleggio apostolico, per cui il papa a maggiori poteri rispetto ai vescovi.
Papa gelasio, nel V secolo, pone una formula che da al vescovo di roma impronta universalistica che non verrà mai meno. Il papa è unico grande capo del mondo della religione e compie una missione universale. L'ufficio dei sacerdoti secondo gelasio è piu grave rispetto a quello dell'imperatore in quanto i primi dovranno rispondere anche di quando compiuto dagli imperatori.
Il rapporto che prima si basava sulla subalternità vede ora papa e imperatore alla pari.
Dall'800 con carlo magno comincia il dialogo papa imperatore.
Oltre alla funzione interna all'universalità risponde anche l'evangelizzazione che rappresenta una missione universale.
Gregorio VII compie un passaggio ulteriore in quanto il potere pontificale deve secondo lui assolvere o condannare l'imperatore e quindi si pongono le basi della teocrazia.
Ulteriore principo che emerge è quello del la “prima saedes anemine iudicatur” secondo cui la sede di roma non può essere giudicata da nessuno.
Nell'860circa papa Nicolò I fonda la propria autorità sulla volontà divina più che sulla successione petrina. Il vescovo di roma che inizialmente non contava nulla, essendo il centro degli affari spostato ad oriente, in circa 3 secoli e emezzo acquisisce grand epotere costruendo il proprio primato universale. Il patriarca di costantinopoli lascia fare, proprio a causa dello scarso potere del vescovo di roma, che però diventa capo delle popolazioni europee trattando con i barbari e divenendo capo politico.
A oriente vige il cesaropapismo, che è riportato a roma in una forma particolare e attenuata in quanto l'imperatore approva la sua nomina, in quanto è necessario mandare l'informazione all'imperatore che manda il placet. Mentre il patriarca di costantinopoli è dunque controllato a vista dall'imperatore il vescovo di roma, a causa della distanza, è praticamente indipendente.
L'imperatore decide di dare potere di nomina all'esarca di ravenna, manca dunque il rapporto diretto tra l'imperatore e il papa, dando vita a un cesaropapismo formale.
Tra il 313 e il 380 c'è un periodo di ambiguità in cui il cristianesimo ottiene dei privilegi ma è posto sullo stesso piano del paganesimo. Una delle due religioni doveva però poi prevalere. Il 380 rappresenta dunqeu la ratifica di una situazione già esistente, quando il cristianesimo diventa la religione di stato e porta all'unione tra stato e chiesa.
Nell'unionismo stato e chiesa hanno gli stessi fini e sono tra loro complementari in quanto non si fondono mai.
Nel confessionismo c'è l'influenza da parte della chiesa o del costume sulle leggi dello stato, è una parte dell'unionismo.
Cesaropapismo e teocrazia sono interni all'unionismo.
Nel cesaropapismo il caesar prevale sul papa, solo in inghilterra le figure coincidono.
Nella teocrazia c'è la tentazione del papa a comandare sullo stato, per quanto non si sia mai realizzato in forma totale salvo che nella forma atipica dello stato pontificio.
325 concilio di nicea presieduto da costantino. Nasce l'eresia in quanto lo stat ocondanna per la prima volta l'eretico. L'eresia diventa reato pubblico.
L'impero si unisce alla religione e il resto diventa eresia, antistato.
Sono previste epr l'eretico diversi tipi di condanne, vi è possibilità di pentirsi. Inizialmente a giudicare sono i vescovi ma in seguito sono sostituiti dal giudice civile.
Comincia ad acquisire valore civile il diritto canonico e inizia l'emarginazione e la persecuzione degli ebrei. Gli ebrei hanno la colpa della morte di gesù; secondo agostino i cristiani devono preservare gli ebrei perché testimoni delle origini cristiane , testimoni del vecchio testamento ma in quanto non riconoscono gesù cristo devono essere fatti schiavi e tenuti in posizione di subalternità.
Gli ebrei subiscono dunque la limitazione dei diritti civili, gli sono pribite le funzioni pubbliche e il matrimonio con i cristiani. Vi è una divisione delle comunità.
Leone I pone i poteri del vescovo di roma come superiori rispetto al colleggio apostolico, per cui il papa a maggiori poteri rispetto ai vescovi.
Papa gelasio, nel V secolo, pone una formula che da al vescovo di roma impronta universalistica che non verrà mai meno. Il papa è unico grande capo del mondo della religione e compie una missione universale. L'ufficio dei sacerdoti secondo gelasio è piu grave rispetto a quello dell'imperatore in quanto i primi dovranno rispondere anche di quando compiuto dagli imperatori.
Il rapporto che prima si basava sulla subalternità vede ora papa e imperatore alla pari.
Dall'800 con carlo magno comincia il dialogo papa imperatore.
Oltre alla funzione interna all'universalità risponde anche l'evangelizzazione che rappresenta una missione universale.
Gregorio VII compie un passaggio ulteriore in quanto il potere pontificale deve secondo lui assolvere o condannare l'imperatore e quindi si pongono le basi della teocrazia.
Ulteriore principo che emerge è quello del la “prima saedes anemine iudicatur” secondo cui la sede di roma non può essere giudicata da nessuno.
Nell'860circa papa Nicolò I fonda la propria autorità sulla volontà divina più che sulla successione petrina. Il vescovo di roma che inizialmente non contava nulla, essendo il centro degli affari spostato ad oriente, in circa 3 secoli e emezzo acquisisce grand epotere costruendo il proprio primato universale. Il patriarca di costantinopoli lascia fare, proprio a causa dello scarso potere del vescovo di roma, che però diventa capo delle popolazioni europee trattando con i barbari e divenendo capo politico.
A oriente vige il cesaropapismo, che è riportato a roma in una forma particolare e attenuata in quanto l'imperatore approva la sua nomina, in quanto è necessario mandare l'informazione all'imperatore che manda il placet. Mentre il patriarca di costantinopoli è dunque controllato a vista dall'imperatore il vescovo di roma, a causa della distanza, è praticamente indipendente.
L'imperatore decide di dare potere di nomina all'esarca di ravenna, manca dunque il rapporto diretto tra l'imperatore e il papa, dando vita a un cesaropapismo formale.
Tra il 313 e il 380 c'è un periodo di ambiguità in cui il cristianesimo ottiene dei privilegi ma è posto sullo stesso piano del paganesimo. Una delle due religioni doveva però poi prevalere. Il 380 rappresenta dunqeu la ratifica di una situazione già esistente, quando il cristianesimo diventa la religione di stato e porta all'unione tra stato e chiesa.
Nell'unionismo stato e chiesa hanno gli stessi fini e sono tra loro complementari in quanto non si fondono mai.
Nel confessionismo c'è l'influenza da parte della chiesa o del costume sulle leggi dello stato, è una parte dell'unionismo.
Cesaropapismo e teocrazia sono interni all'unionismo.
Nel cesaropapismo il caesar prevale sul papa, solo in inghilterra le figure coincidono.
Nella teocrazia c'è la tentazione del papa a comandare sullo stato, per quanto non si sia mai realizzato in forma totale salvo che nella forma atipica dello stato pontificio.
325 concilio di nicea presieduto da costantino. Nasce l'eresia in quanto lo stat ocondanna per la prima volta l'eretico. L'eresia diventa reato pubblico.
L'impero si unisce alla religione e il resto diventa eresia, antistato.
Sono previste epr l'eretico diversi tipi di condanne, vi è possibilità di pentirsi. Inizialmente a giudicare sono i vescovi ma in seguito sono sostituiti dal giudice civile.
Comincia ad acquisire valore civile il diritto canonico e inizia l'emarginazione e la persecuzione degli ebrei. Gli ebrei hanno la colpa della morte di gesù; secondo agostino i cristiani devono preservare gli ebrei perché testimoni delle origini cristiane , testimoni del vecchio testamento ma in quanto non riconoscono gesù cristo devono essere fatti schiavi e tenuti in posizione di subalternità.
Gli ebrei subiscono dunque la limitazione dei diritti civili, gli sono pribite le funzioni pubbliche e il matrimonio con i cristiani. Vi è una divisione delle comunità.
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A cambiare la storia dei rapporti tra pontificato e impero vi sono 2 eventi. Leone III chiede aiuto a carlo magno per evitare di essere deposto e in cambio egli incorona lo stesso carlo magno imperatore affermando implicitamente il proprio potere di nominare l'imperatore dando elemento di sacertà all'impero. Ne nascono dei vincoli per entrambi: la giurisdizione dell'imperatore è applicata nei luoghi dove il vescovo di roma ha influenza e carlo magno impone l'obbligo di convertirsi ai popoli che conquista.
Mentre l'oriente perde terre a tutto vantaggio dell'islam avviene in occidente un un lento processo di civilizzazione e affinamento, portando a una divisione rispetto all'oriente non basata sulla fede.
La date del 1054 rappresenta la prima divisione della cristianità. Con l oscisma d'oriente infatti le chiese si scomunicano a vicenda.
La differenza tra scisma ed eresia sta nel fatto che l'eresia avviene quando un soggetto nega una o piu verità di fede mentre lo scisma presuppone l'unità di fede con una separazione giuridica e istituzionale. Vi è dunque un riconoscimento reciproco e la separazione.
Nel 1054 i delegati papali vanno a costantinopoli da michele cerulario depositando la bolla di scomunica sull'altare della chiesa di santa sofia, con un atto solenne e pubblico. Cerulario fa copia della bolla e la fa bruciare, tenendo per sé l'originale.
La differenza di fede tra oriente e occidente sta nel fatto che nel concilio di nicea del 325 viene inserita la parola filioque.La separazione continua fino al 1965 quando paolo VI incontra adenagona I dichiarando nulle le scomuniche.
Nell'XI secolo matura in occidente la riforma gregoriana, formatasi sulla base di un movimento precedente allo stesso Gregorio VII. Ildebrando di Soana realizza il cristianesimo come l oconosciamo noi oggi che deriva dalla decadenza precedente.
La chiesa viene infatti feudalizzata e i vescovi sono eletti dai signori locali o dall'imperatore. Vi era un concetto molto basso del sacerdozio e una forte corruzione dei costumi, vista anche la dipendenza dal potere politico degli uomini di chiesa.
Il movimento di riforma gregoriana nasce per riportare dignità e regola alle strutture ecclesiastiche e per ottenere l'indipendenza dalle altre strutture.
Mentre l'oriente perde terre a tutto vantaggio dell'islam avviene in occidente un un lento processo di civilizzazione e affinamento, portando a una divisione rispetto all'oriente non basata sulla fede.
La date del 1054 rappresenta la prima divisione della cristianità. Con l oscisma d'oriente infatti le chiese si scomunicano a vicenda.
La differenza tra scisma ed eresia sta nel fatto che l'eresia avviene quando un soggetto nega una o piu verità di fede mentre lo scisma presuppone l'unità di fede con una separazione giuridica e istituzionale. Vi è dunque un riconoscimento reciproco e la separazione.
Nel 1054 i delegati papali vanno a costantinopoli da michele cerulario depositando la bolla di scomunica sull'altare della chiesa di santa sofia, con un atto solenne e pubblico. Cerulario fa copia della bolla e la fa bruciare, tenendo per sé l'originale.
La differenza di fede tra oriente e occidente sta nel fatto che nel concilio di nicea del 325 viene inserita la parola filioque.La separazione continua fino al 1965 quando paolo VI incontra adenagona I dichiarando nulle le scomuniche.
Nell'XI secolo matura in occidente la riforma gregoriana, formatasi sulla base di un movimento precedente allo stesso Gregorio VII. Ildebrando di Soana realizza il cristianesimo come l oconosciamo noi oggi che deriva dalla decadenza precedente.
La chiesa viene infatti feudalizzata e i vescovi sono eletti dai signori locali o dall'imperatore. Vi era un concetto molto basso del sacerdozio e una forte corruzione dei costumi, vista anche la dipendenza dal potere politico degli uomini di chiesa.
Il movimento di riforma gregoriana nasce per riportare dignità e regola alle strutture ecclesiastiche e per ottenere l'indipendenza dalle altre strutture.
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